Prima di ascoltare il loro omonimo secondo lavoro in studio (in uscita il prossimo 18 giugno per la Scarlet Records) non conoscevo gli italiani Infinita Symphonia: la band si definisce symphonic prog rock metal anche se alla fine, come specificato anche da loro stessi, il loro genere non è collocabile in una precisa categoria.
La produzione è molto pulita, il suono delle chitarre di Gianmarco Ricasoli (che nel disco ha suonato anche le tastiere) è roccioso e nitido e la voce di Luca Micioni dalla timbrica in bilico tra metal e prog ha personalità ed espressività, ma le canzoni non esplodono mai completamente e mantengono un mood pacato (salvo alcune eccezioni come l’aggressiva Welcome to My World e il growl in Drowsiness). La cosa deve essere intenzionale, visto che l’album a detta della stessa band ha come argomento l’attesa intesa sia a livello personale che collettivo.
I momenti migliori: l’opener If I Could Go Back, il pezzo anche più facile da assimilare, veloce, compatto e senza fronzoli; The last Breath, con un ritornello molto ispirato; Fly (con alla voce Michael Kiske!), che racchiude in sé la maggior gamma di mood presenti nel disco, come delicate parti arpeggiate, strofa e ritornello ariosi, uno spunto di pianoforte di sapore nu-metal e nel finale una parte esageratamente accelerata prima di sfociare di nuovo nel bel ritornello; In Your Eyes, una ballata in maggiore con un inizio di voce e chitarra acustica che ricorda vagamente i gruppi prog italiani degli anni ‘70. Bella anche la breve e spagnoleggiante Interlude seguita da Waiting For a day To Come, un'altra ballata questa volta più malinconica.
Dove gli Infinità Symphonia mi hanno convinto poco è nella struttura compositiva, a mio avviso poco incisiva (a parte la già citata If I could go back): durante l’ascolto ho avuto l'impressione che la maggior parte delle canzoni sia stata messa insieme unendo molti singoli spunti che non sempre riescono ad amalgamarsi in modo armonioso l’uno con l’altro. Questo particolare è emerso soprattutto nella conclusiva e drammatica Limbo (che ha anche gli unici spunti sinfonici di tutto il disco) la quale riprende nella strofa la melodia dell’intro X IV, dapprima in chiave minimalista e con cantato sussurrato poi via via sempre più enfatizzato e in crescendo. A questa, fa da contraltare un ritornello melodico e sognante molto bello ma che a mio parere suona forzato col resto della canzone.
Infinita Symphonia è comunque un disco di buon metal dai suoni moderni e con melodie che ricorderanno po’ i vecchi Dream Theater, i Symphony X, e Rhapsody Of Fire. Niente di nuovo, certo, ma c’è una caratteristica che raramente ho sentito a livelli così ben espressi nella musica metal e prog (forse solo Bruce Dickinson da solista ci era riuscito) e che a mio avviso dà un tocco di personalità e anche di italianità: gli Infinita Symphonia danno alle canzoni uno spiccato tratto sentimentale che le rende più vive e umane, più vicine ai sentimenti (appunto) che abbiamo dentro di noi: ci si sente davvero coinvolti durante l'ascolto, soprattutto nelle parti arpeggiate e acustiche (ce ne sono molte) e nei bei ritornelli melodici e ispirati. E il bello è che questa musica non ha proprio niente di smielato!
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