Fosse venuta ora Anna, da morta, le avrebbe aperto la porta e avrebbe aspettato la sua punizione.
E qualcosa arrivò dietro la porta. Un urto solo, forte. Come di un corpo sbattuto contro il legno. Poi più niente, a parte il vento.
Fedor si alzò di scatto e disse: – Chi è?
Forse un cane randagio attirato dalla luce.
Il secondo colpo fu meno forte del primo però le vecchie assi di pino scricchiolarono, i cardini stridettero.
Fedor indietreggiò toccando coi polpacci il bordo damascato.
– Chi è, ho detto. Chi è là!
– Apritemi, signore. Vi prego – fu la voce di donna che gli rispose. Era così simile a quella della sua Anna che Fedor si mise di fianco al divanetto con le mani sulla spalliera.
– Andate via!
– Mi dovete aiutare. Ve ne prego.
La donna sembrava stanca e la sua supplica conteneva urgenza, ma non disperazione.
– Vi dico di andare, non posso aiutarvi! Non posso.
Fedor si lanciò sulle imposte e le chiuse, serrando anche gli scuri interni. I suoni della steppa divennero sordi ma più precisi. Fedor si avvicinò alla porta e si mise in ascolto.
Veniva un respiro lento e profondo, e un gocciolio lieve; tanto che Fedor da principio lo aveva scambiato per lo scrocchio del legno. Una rusalki. Una donna dei laghi. Era venuta per lui. Era Anna?
– Anna, devi andare via! Lasciami in pace. Non volevo. Capito? Non volevo.
– Anna? Signore, ve ne prego. Mi chiamo Malanja Dmitrievna. Aiutatemi.
– Devi starmi lontana.
– Signore. Sono inseguita da tre uomini. Li vedrete lì in fondo, con le torce. Aprite. Dovete solo guardare.
Fedor fece tre passi rasente alla parete, sganciò delicatamente il ferro dello scuro e spiò. Tre luci tremule brillavano all'orizzonte. Richiuse subito.
Tornò alla porta, il respiro dietro essa era gonfio e umido. Gocce picchiettavano gli assiti.
– Ho visto le luci – disse Fedor.
– Aprite, dunque.
– Perché sei bagnata?
– Bagnata? Il vostro stagno, signore. Qui dietro. Vengo da lì, cioè ci sono finita dentro. Oh, aprite. Aprite. Vi prego.
– Perché ti cercano?
Il respiro oltre la porta si fermò per un istante, poi la donna con la voce di Anna disse più forte del vento: – Perché ho ucciso mio marito.
Fedor spalancò la porta. Fu un gesto immediato, una fretta di cui si pentì mentre si riversava nelle sue membra, incapace di fare altro. Rapito dalla condivisione del peccato.
Sull'uscio c'era una donna che non era Anna. I capelli erano lunghissimi e fradici, le coprivano gli occhi gocciolando su un vecchio abito di trou-trou a trama larga, quasi trasparente, niveo come il viso. Le labbra formavano un cuore violaceo, il corpo esile oscillava sferzato dal vento. La luce della luna e delle lampade lo tenevano in bilico sullo sfondo piatto e buio della steppa.
– Mi hai mentito! È così? – le disse di getto Fedor, troppo tardi, col cuore che gli esplodeva in petto.
– Mi avete salvato la vita – rispose lei, atona, ed entrò a piedi nudi chiazzando il pavimento.
Fedor chiuse la porta e si appoggiò a essa. Sarebbe dovuto scappare. Sapeva che era la cosa da fare, eppure le gambe sembravano tutt'uno col pavimento. Era la colpa o la paura?
La donna si girò. L'acqua scorreva sui capelli, sui piccoli seni aderenti al vestito, colava lungo i polsi e si staccava dalle punta delle dita. Non si fermava. Scorreva.
– Chi credete io sia?
Fedor ingoiò a vuoto.
– Dite, signore – lo incalzò.
– Sei una rusalki, Dio mi salvi!
Le labbra della donna tremarono in un sorriso che non si formò del tutto, come se lo avesse trattenuto.
Le rusalki possono uccidere gli uomini ridendo di loro, gli diceva la bisnonna.
– Le leggende sono il pelo dello stagno – borbottò lei con l'acqua che usciva dalla bocca. – Sotto è tutto più buio, torbido.
– Dio! Sei venuta per me. È così?
– Per vostra moglie, intendete?
– Come lo sai?
– Le donne morte parlano tra loro.
– Allora è morta davvero! L'ho uccisa. Oh, Dio! Anna...
Fedor finì in ginocchio, le mani al viso. Attraverso la stoffa sentì la chiazza di umido lasciata dalla rusalki. Era gelida.
– Un biglietto... Neanche si è curata di nasconderlo. Come se non valessi nulla... come se un amante che le dà un appuntamento nel loro appartamentino segreto fosse cosa di poco conto. Chissà da quanto tempo.
– Avete ucciso una donna. E questo è male. Ma non sono qui per voi. Sono qui per mio marito.
2 commenti
Aggiungi un commentoUn altro ammirevole lavoro di Sergio Donato.
Se me lo avessero presentato come un classico russo ottocentesco non avrei avuto nulla da ridire.
Applauso!
Grazie, Samuele.
Ho coscientemente scelto di adattare la scrittura al periodo storico – rischiando – per spazzare via un po', e nelle dovute proporzioni della mia narrativa, tutte queste cianfrusaglie emo-punk in stile Sherlock Holmes di Guy Ritchie, per intenderci. Che sono anche divertenti, non lo discuto; però è come se fossero una ritinteggiatura fatta in fretta ma curata e con fantasie buone per le riviste di arredo. Sai, come per quegli appartamenti che sono belli visti in foto, poi ci dormi dentro una notte e vorresti aver sfogliato Topolino.
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