La voce del ragazzo rimbalzò su per la tromba delle scale, fino al terrazzo della palazzina disabitata alla periferia di Trapani.
- Bastardi rugnusi! Figghi ri buttana, lassatimi!
Salvo Basile, poggiato al parapetto che si affacciava sulla città, una sigaretta penzoloni tra le labbra, rabbrividì nonostante l'afa.
C'era una nota che non aveva più nulla di umano in quelle parole. Il verso di un cucciolo di cinghiale pizzicato nella tagliola del bracconiere, di un vitello trascinato al mattatoio.
Sfiorò il calcio della pistola alla ricerca di conforto. Metallo gelido contro dita tumefatte dalla calura. Nessun sollievo, soltanto nausea e rotule di marzapane.
Un gatto lanciò un miagolio, subito disperso dal vento rovente che annichiliva Trapani. Scirocco, caldo come braci, profumato come fiele.
Calma ora, si ammonì. Cazzo, stai calmo.
Passi per le scale, sempre più vicini, poi un verso strozzato, rumori di lotta.
Scagliò la sigaretta giù dal terrazzo e cominciò a camminare nervoso sul pavimento catramato.
L'enorme cisterna per la raccolta delle acque piovane, incrostata di escrescenze muffose, non era che una sagoma verdastra acquattata nell’ombra. Salvo si fermò, sollevando la mano destra nella luce incerta. Il taglio sul palmo prudeva.
Altre urla risuonarono a pochi metri di distanza. Con un cigolio lamentoso la porticina che immetteva sul terrazzo si aprì, distogliendolo dai suoi pensieri.
Tre ombre avanzarono piano, rischiarate dal pallore diafano delle stelle. I fratelli Muti, i colli taurini percorsi da nervi tirati come corde, rivolsero un cenno a Salvo e scaricarono il loro fardello sul terrazzo. Il fardello emise un borbottio liquido.
Era un giovane, sì e no vent’anni, vestiti costosi e spocchia svanita per magia non appena i Muti avevano cominciato a usarlo come punching ball.
Il suo volto aveva visto giorni migliori. Il naso, piegato a un’angolazione estrema, vaporizzava sangue a ogni respiro. Le labbra sporgevano come salsicce troppo cotte e gli occhi erano ridotti a tagli obliqui, bluastri. Piangeva.
- Nun mi ammasciate, no - biascicò tra denti spezzati. - Nun vojo mòrive. - Allungò una mano, sfiorando gli anfibi di Basile. - Ajutami.
Salvo ebbe solo un attimo di esitazione, poi incrociò gli occhi dei fratelli Muti e alzò il piede.
Un male minore per un bene superiore, pensò, cercando di scacciare il groppo in gola.
La suola calò sulle dita del ragazzo con forza. Il rumore fu molto simile a quello di grissini che si rompevano. Basile mosse la gamba come se stesse spegnendo una sigaretta e le implorazioni del malvivente si trasformarono in un raglio penoso.
Provò una fitta al petto. Un attimo di pietà. Solo un attimo. Quel disgraziato aveva scelto da che parte stare anni prima, valutando rischi e benefici.
Lui aveva fatto lo stesso all’età di sedici anni, quando la pallottola vagante di un sicario aveva aperto un terzo occhio nella fronte di suo padre.
Salvo Basile aveva scelto di stare dalla parte dei buoni. Aveva deciso di diventare uno sbirro.
Guadagnarsi la fiducia della famiglia Sciarra non era stato facile. A dirla tutta, era stato un inferno. Ma quando un anno prima il responsabile della squadra antimafia gli aveva proposto d’infiltrarsi nella più potente famiglia mafiosa del trapanese – per Dio, dell’intera Sicilia – aveva accettato con entusiasmo. Sebbene il rischio di finire in un pilone di cemento fosse più che una remota possibilità. Il suo predecessore in quel compito, Totò, un bravo poliziotto, era sparito senza lasciare traccia.
Gli Sciarra avevano scalato la piramide della malavita negli ultimi cinque anni con una determinazione che aveva sbalordito gli inquirenti e le altre famigghie. Il loro metodo di lavoro era atipico. Sin troppo… discreto. Sembravano intoccabili, sfuggenti, quasi protetti da un’aura malefica. E non facevano mai trovare i cadaveri dei loro nemici, mai, anche se Salvo era sicuro che chi metteva i bastoni tra le ruote degli Sciarra non incontrava una dipartita serena.
I fratelli Muti erano stati i suoi mentori in quel mondo di soprusi. I due non erano parenti, e non erano nemmeno muti, ma si somigliavano e parlavano poco.
Gestivano mazzette e droga.
Bruciavano negozi.
Spezzavano gambe.
Per guadagnarsi la fiducia all’interno del clan, Salvo era stato costretto dai due energumeni a fare… cose. Cose che l’avrebbero perseguitato per tutta la vita, negli incubi.
2 commenti
Aggiungi un commentoQualcuno disse che la mafia è un fenomeno umano e come tale destinato a finire... Forse si sbagliava?
Bel racconto anche questo, complimenti all'autore, al quale dichiaro il mio amore per i "Vermi conquistatori"... Quindi doppi complimenti.
Concordo con Samuele, ottimo racconto e complimenti a Luigi anche per il lavoro sui vermi conquistatori, che sto finendo di leggere in questi giorni.
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