Le atmosfere notturne e oniriche già presenti nei due precedenti lavori dei Fen, The Malediction Fields e Epoch, segnano un ulterione passo in avanti con il nuovo Dustwalker: chitarre goth, a tratti settantiane, a tratti darkeggianti, e spunti acustici usati in modo inconsueto per il black. Negli ultimi anni questo genere è entrato in una nuova fase nella quale le band sperimentano suoni fino a poco fa mantenuti lontani da questo mondo monolitico, e non sempre con buoni risultati. I Fen, invece, sembrano essere a loro agio nell'usare suoni e melodie estranee e a renderli complementari a un contesto black: questo è senza dubbio il maggior punto di forza della band che in Dustwalker riesce a spingere il suono verso nuove dimensioni grazie anche alle numerose aperture ambient e minimaliste, quasi assenti nei due lavori precedenti. Da notare, come in tutte queste aperture si faccia uso di una delle caratteristiche principali del black: il tremolo picking (tecnica chitarristica che consiste nel suonare una o più note in maniera continua con rapide pennate alternate), qui usato su chitarre pulite o acustiche.
La prima sensazione che ho avuto ascoltando il disco è quella di trovarsi in una foresta d'inverno nella quale la notte sta per finire e l'alba è dietro l'angolo. Non mi ha stupito quando successivamente ho letto questa dichiarazione di The Watcher (il frontman della band) sul sito della code666: “Se Epoch reincarna un solitario cammino autunnale durante un crepuscolo nelle terre paludose, Dustwalker rappresenta una fredda e grigia alba invernale”. Terre paludose, foresta o terra incolta che sia, poco importa: davvero questo è il primo disco di black metal che è adatto all'ascolto mattutino, data l'atmosfera sospesa e onirica di cui i Fen sembrano nuovi maestri.
Consequence inizia con chitarre distorte e scream tipici del genere, ma non ci si faccia fuorviare da questa partenza standard perchè già dopo due minuti il brano rallenta; le chitarre, pur rimanendo distorte, tessono arpeggi che avrebbero potuto essere puliti e senza nessun altro strumento di accompagnamento. Stiamo ancora vagando in una foresta, avvolti dalla notte e dall'oscurità, ma percepiamo che il risveglio e le prime luci sono prossime. L'atmosfera del brano è quella di un'attesa e di un cambiamento molto vicino, il tutto ben espresso oltre che dalla notturna atmosfera, anche dalla struttura salda del pezzo. Uno dei brani migliori del disco
Hands Of Dust è la prima sorpresa: inizio rarefatto con chitarre pulite alle quali si aggiungono spunti acustici, il primo tremolo picking minimalista e una voce sussurrata più dark che black. Le prime luci stanno arrivando ma è ancora tutto immobile, non riusciamo ancora a vedere: fa freddo, non osiamo muoverci. Piano piano, però, prendiamo coraggio, ci guardiamo intorno e cominciamo a scorgere qualcosa, possiamo intravedere una direzione verso la quale dirigerci. I primi quattro minuti sono un lento crescendo nel quale entra la batteria, la voce si mantiene pulita per poi continuare sporca. La seconda parte del brano, che in tutto dura 10 minuti, è più veloce, e verso la fine avrà momenti parossisitici tipici del black.
Spectre è la seconda e vera sopresa del disco: si apre subito con chitarre acustiche e arpeggiate, una batteria che suona un 4/4 moderato, voci pulite e ispirate. I primi tre minuti sono tra le cose più inconsuete mai sentite da una band black, sia per il pinkfloydiano incedere acustico che per l'atmosfera da risveglio: l'alba è arrivata, adesso che vediamo, c'è l'illusione di sapere dove andare e come muoverci. Eppure dopo i primi tre minuti, l'atmosfera torna oppressiva e c'è la tecnica del tremolo pick a sottolinearcelo: il sole è spuntato e lo si intravede tra gli alberi, ma viene subito offuscato dalla nebbia.
Dopo Reflections (una breve e distesa intro acustica dove chitarre pulite si sovrappongono a un synth), l'aggressiva Wolf Sun esplode con grande energia: in tutti i suoi sette minuti il ritmo si mantiene veloce e costante e solo alla fine rallenta e si ammorbidisce, assomigliando molto più a un brano dark gothic anni '80 che a uno black. E' giorno e vogliamo muoverci, abbiamo energia, ma quello che vediamo è solo una grande nebbia.
Anche se The Black Sound ha momenti in cui ci sono chitarre pulite e arpeggiate, è il brano più cupo e opprimente dell'album, sottolineato da un andamento lento e cadenzato in tutti i suoi dieci minuti di durata. Da evidenziare di nuovo, nella parte centrale, il tremolo picking.
Il delicato riff iniziale di Walking The Crowpath sembra più prog metal che black e l'impressione continua ancora per un po' quando entra la batteria e la chitarra distorta arpeggiata. Questo è anche il brano più epico del disco (e anche il più lungo: 13 minuti). E' ormai giorno nella foresta e nelle terre desolate dei Fen, ma la luce rivela solo disperazione e rabbia, e non bastano i momentanei accenni di voce pulita e di narrato per risollevarsi.
Chiude l'album la strumentale bonus track Epilogue, con di nuovo il tremolo pick usato stavolta su una chitarra acustica. A costo di far sobbalzare qualcuno sulla sedia, dirò che questo pezzo mi ha ricordato gli Smiths più cupi e introversi. Una chiusura drammatica e ariosa per Dustwalker, un epilogo che continua a vederci vagare nelle grigie, fredde ma poetiche terre dei Fen.
L'album uscirà per la Code666 il 21 gennaio prossimo in CD e cofanetto speciale (quest'ultimo includerà la bonus track e un ciondolo con il logo della band).
Acquisto vivamente consigliato e band da seguire con molta attenzione!
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