Come sempre accade nei lavori dei Destruction, non c’è un momento di caduta di ritmo dall’inizio alla fine del disco e il nuovo Spiritual Genocide non solo non fa eccezione ma è persino più violento, veloce e serrato rispetto ai lavori precedenti: tutte qualità per chi ama il thrash dei teutonici (vicini ai trent'anni di carriera), ma questa volta il gruppo sembra essersi spinto un po’ troppo oltre perché, seppure ottimamente suonate, le canzoni non restano in testa e hanno pochi spunti interessanti che non aggiungono niente di nuovo a ciò che la band ci ha già proposto in passato. La produzione è molto pulita e mette ancora più in evidenza le impeccabili qualità tecniche del trio ma l’impressione è che seppure il sound non abbia perso in incisività e aggressività, risulta più freddo e piatto.
Dopo la breve intro Exordium, ecco l'uno-due micidiale di Cyanide e la title track Spiritual Genocide: tanto cariche di vetriolo, violente e veloci quanto poco incisive, e le cose non cambiano con la successiva Renegades dove il ritmo rimane elevatissimo ma come le due precedenti song in testa rimane ben poco.
L’inizio e il riff principale di City Of Doom invece è puro trash di scuola anni ‘80 e ci conferma come i Destruction siano ottimi interpreti e maestri di questo genere e del perché abbiano ancora oggi un fedele e meritato seguito tra i fan.
Non male anche To dust you will decay, dove un inizio cadenzato e potente lascia presto spazio a una strofa velocissima e tagliente per poi rallentare di nuovo nel ritornello e nel bel solo/bridge
Legacy of the past è una delle poche song che lasciano il segno: ben strutturata, corposa e dal ritornello cadenzato, con una melodia semplice e immediata. Miglior episodio del disco insieme alla successiva Carnivore che è stata infatti scelta come primo singolo: fluida, convincente e trascinante come i migliori Destruction sanno fare.
Dopo la schizoide e inutile Riot Squad, chiude l’album la velocissima Under Violent Sledge che ci lascia tanto tramortiti quanto perplessi: va bene la velocità parossistica, i cori urlati (questa volta oggettivamente brutti) e gli improvvisi cambi di tempo, ma dov’è la spinta alla quale il gruppo ci aveva così ben abituati nei recenti lavori? Qui ci sembra di respirare per lo più aria fritta ed è un peccato perché i Destruction sono tra i pochi gruppi che al giorno d'oggi sanno tenere ancora alta la bandiera del thrash. Riprovateci ancora.
Per i fan del gruppo sicuramente un altro disco da avere ma per gli altri questa volta aleggerà la sensazione del “molto rumore per nulla”.
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