Definire Where the road leds un concept album di power/progressive metal sarebbe riduttivo, perché si tratta a ben vedere di un vero e proprio romanzo di fantascienza in musica che, oltre ai generi già citati, attinge anche al sinfonismo e all’elettronica. L’horror e lo storico si commissionano alla sci-fi, in una quest sulla scoperta degli oscuri segreti alle radici dell’umanità, dove numerosi personaggi caratterizzati da interpreti di fama internazionale si avvicendano nel corso dei ‘capitoli.’
Registrato, mixato e masterizzato da Simone Mularoni ai Domination Studio di San Marino (l’artwork è di Federico Di Pane), l’album edito dalla giovane Revalve Records di Rob Cufaro (ex Theatres des Vampires) porta il nome del progetto Earthcry, ma l’intero lavoro è opera del batterista genovese Enrico Sidoti. Hanno collaborato i chitarristi Bruno Di Giorgio, Diego Reali e lo stesso Mularoni; il tastierista Tommaso Delfino e il bassista Leone Villani Conti. Ma la vera chicca del progetto sono i vocalist che interpretano i vari personaggi della storia, che scopriremo a mano a mano che ci addentreremo nei capitoli.
Durante un’uscita in barca non lontano da Miami (la breve introduzione perlopiù strumentale Sailing on), due amici assistono a un evento atmosferico sovrannaturale (New Fading Sun): una spirale di luce nel cielo. Mentre il primo, “The Believer”, interpretato da Roberto Tiranti (Labyrinth, Vanexa, New Trolls) rimane affascinato dall’episodio, il secondo, “The Outsider”, ovvero Mark Basile (Mind Key, B.R.A.K.E., DGM) si dimostra scettico e pensa a mettersi in salvo dalla tempesta che si è appena scatenata. Il brano ha una classica struttura power che mantiene ritmiche serratissime per quasi sette minuti, senza dimenticare melodie orecchiabili valorizzate dalle timbriche (e caratterizzazioni) diverse dei due interpreti.
In Hospitality, i due naufraghi vengono tratti in salvo su una riva dell’isola di Bimini da una sorta di sciamano, “The Doctor”, interpretato da Damian Wilson (Landmarq, Threshold, Rick Wakeman’s Ensemble, fra gli altri), e a lui raccontano la loro avventura. Il secondo brano è più improntato sul progressive, con largo spazio agli strumenti a tastiera e frequenti cambi di valori ritmici, atmosfere (quelle più distese sono affidate allo sciamano) e territori. Ampio e molto complesso, risulta anche di impatto meno immediato rispetto alla traccia di apertura, con soluzioni derivate più dal progressive rock dell’epoca aurea che dal progressive metal. The Doctor sostiene che i due abbiano visto attraverso il Velo di Maya, e li invita a incontrare un vecchio pilota che ha vissuto la stessa esperienza nel corso della seconda guerra mondiale (Recall). Nonostante i farmaci, l’anziano ospite del St. Clarice Mental Hospital (interpretato da Oliver Hartmann: At Vance, Avatansia, Iron Mask, Edguy, fra gli altri) appare lucido nel raccontare la sua esperienza, benché ossessionato dalla ricerca della verità (Into the Asylum); nel corso dei secoli, c’è una forma ricorrente nelle immagini umane: la spirale. E la spirale è la base instabile disegnata in pittura sonora dalla chitarra in Recall, su cui si spicca energica e disperata la voce del nuovo personaggio e in cui affondano le tastiere. Si tratta probabilmente di uno dei brani più efficaci dell’intero lavoro e si contrappone a Into the Asylum, incentrato sul dialogo/armonia fra i vari personaggi, forse troppo complesso, carico e virtuosistico nella sua relativa brevità, nonostante la ‘falsa partenza’ classica e lineare.
Mentre, in Landscapes e Strangers, compare un personaggio misterioso denominato “The Pawn” (interpretato da Zack Stevens dei Savatage e Circle II Circle), i due amici decidono di raggiungere anche l’antropologo (Marco Sandron di Pathosray e Fairyland), che ha indirizzato il pilota nei suoi studi, il quale racconta loro oscure storie inerenti una civiltà pre-colombiana dedita al culto della spirale (Uncharted). In Landscapes, il paesaggio elettronico si protrae strumentale a lungo prima di lasciare spazio alle melodie perlopiù piane e aperte del personaggio misterioso, fino a velocizzare e intrecciare sempre più struttura e personaggi; Strangers è invece introdotta da una sezione delicata e sognante affidata allo sciamano che continua a interagire, sia sul piano verbale che su quello musicale, sempre in maniera non troppo aggressiva, con il personaggio misterioso (e qui pure con gli strumenti solisti che si fanno anch’essi ‘parlanti’). Per contro, Uncharted è irruente e minacciosa, il falsetto e l’instabilità delle tastiere e delle ritmiche mettono in guardia ascoltatori e personaggi.
Nonostante in Messico i discendenti del culto scoraggino i due amici dal proseguire nella loro ‘quest’ (il tempio non li lascerebbe uscire vivi), The Believer e The Outsider riescono infine a trovare l’antica costruzione nella foresta (l’evocativa e sinistra strumentale The Temple). Inside, l’ultima traccia, chiude il cerchio sul power iniziale per poi attraversare i vari personaggi/territori ritmici e timbrici toccati nel corso dell’album. Un’oscura presenza cresce tutt’intorno a loro finché non si manifesta “The Purpose not to be disturbed”, interpretato sempre da Sandron, ma The Believer muove un passo all’interno del portale...
E qui si chiude quello che appare solo il primo capitolo di una saga, che oltretutto ci lascia col fiato sospeso degno di un cliffhanger di una serie televisiva.
Non si tratta di un album di facile ascolto, certo, necessita di svariati passaggi per essere apprezzato in ogni sua sfumatura; è un disco molto buono che avrebbe potuto risultare ottimo se non avesse puntato troppo all’eccellente. L’eccessiva complessità può far perdere di vista la musica e reclamare semplificazione, che nella seconda parte della saga, a parer mio, non guasterebbe.
Per i cultori del prog che amano strutture narrative dettagliate quanto la tecnica esecutiva.
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