La cellula di Cronenberg, che sia Toronto, o una famiglia, o una coppia di gemelli siamesi, una mosca o un apparecchio televisivo, è sempre stata una cosmopoli infetta e virale in cui né scienza né tecnologia, né tantomeno umanità, possono sperare di fermare il contagio.
Figuriamoci prevenirlo. Si può solo constatarlo, registrarlo, al limite studiarlo prima di venirne, tutti nessuno escluso, inevitabilmente stravolti. Mutati. Il virus di David Cronenberg agisce in piena postmodernità, alla luce del sole e ormai immune alla farmacopea classica; è cioè il suo stesso cinema, pastiche di alto e di basso, coito fra tradizione e sperimentazione, che ne diventa, volontariamente e suo malgrado a un tempo, il veicolo primo e il rimedio ultimo. Anamnesi ed esito, inseparabili insieme.
Queste le premesse di VideCronemberg, un saggio scritto da Claudio Bartolini e pubblicato da Bietti, sul cinema di uno dei grandi cineasti del body horror.
Claudio Bartolini, cultore della materia in Storia del Cinema italiano presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, è critico e redattore del settimanale di cinema Film Tv, collabora con la rivista Nocturno Cinema e cura rassegne e cineforum in provincia di Milano. Ha pubblicato Il gotico Padano. Dialogo con Pupi Avati (Le Mani, 2010), Nero Avati. Visioni dal set (Le Mani, 2011) e Thriller italiano in cento film (Le Mani, 2011). Per Bietti Heterotopia ha partecipato al volume collettivo The Fincher Network (2011).
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