Tre amici, Marco, Simone e Ale, vivano nella degradata periferia romana, tra i piccoli e grandi problemi della vita quotidiana e il desiderio di evasione e di cambiare vita. L’occasione è dato dal ritrovamento di un mazzo di chiavi della bellissima villa del Marchese Lanzi, che rimarrà vuota per tutto il week end. I ragazzi penetrano nella casa del ricco e strano inquilino, con l’intento di divertirsi e organizzare una festa ma ben presto scoprono che la cantina della villa cela orribili segreti…
Dopo aver sfiorato e ammiccato al genere horror con progetti precedenti (Zora la vampira e Cavie) i Manetti Bros “affondano” nell'horror con una storia nera, ispirata da una vicenda reale.
Paura (girato in 3D) mette in scena una scorribanda tra ragazzi romani, assillati dalla noia, che si scontrano con un orco (interpretato dal bravo Peppe Servillo) che dimora in una lussuosissima villa lontano dalla città nel silenzio della campagna dove dà libero sfoghi ai suoi istinti perversi tenendo sotto chiave (come gli orchi delle fiabe) le sue vittime, incatenandole e infliggendogli sevizie orribili.
I Manetti giocano con i cliché dell’horror, dimostrando di aver masticato e digerito il genere, portando lo spettatore subito dentro la pellicola. L’incipit prima dei titoli di testa (un’inquietante cartone animato a opera del pittore Sergio Gazzo), con una soggettiva che mostra l’antefatto e le gesta del mostro, ricorda quello di celebre pellicole come, per esempio, Halloween di John Carpenter o Suspria di Dario Argento; l’intreccio è basato su una situazione elementare e sull’interazione e le dinamiche di pochi personaggi tra di loro; il meccanismo di suspense si sviluppa in crescendo, da una partenza lenta per poi accelerare fino ad assumere un ritmo convulso e ossessivo, claustrofobico e angoscioso quando si tratta delle parti girare all’interno della cantina; per arrivare infine allo splatter e al gore con ampi spargimenti di sangue, impiccagioni, decapitazioni e mutilazioni varie.
Il film richiama alla mente il torture porn e l’estetica del martirio dell’ultimo decennio cinematografico (Saw, Hostel e Martyrs tra tutti) con una violenza mai compiaciuta ma comunque esibita. Sabrina (interpretata da Francesca Cuttica), la ragazza rinchiusa dall’orco nelle cantine, con i capelli davanti al viso e lo sguardo allucinato ricorda Samara, la protagonista di The Ring, il cui corpo è esibito, mostrato e “mortificato”.
Svariati gli altri elementi, dai riferimenti ai capostipiti dell’horror Italiano, come Mario Bava (divertente il cameo di Antonio Tentori, sceneggiatore dell’ultimo film di Dario Argento, che interpreta un’insegnante e tiene una lezione sul regista autore di La maschera del Demonio), alla musica rap (costante colonna sonora dei loro film), il punto di vista esterno e insistito della macchina da presa sugli attori, la parlata in romanesco che caratterizza i personaggi e l'ambientazione della vicenda in una Roma cattiva e cinica, dove la mostruosità è celata dietro la maschera del perbenismo e della normalità.
Un’opera onesta, non immune da difetti (come il finale troppo prolungato e il ribaltamento telefonato della vittima che diventa carnefice), un atto d’amore nei confronti del genere horror che speriamo possa avere dei seguiti, con altre opere, magari in un prossimo futuro.
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