Il bisturi aprì facilmente la carne necrotica rivelando il caos di schegge d’osso, fluidi e materia organica. Non doveva essere ritornato da molto. Nel tempo, i fluidi andavano asciugandosi o colavano completamente da orecchie e occhi. Raffaele assunse un’aria critica, forse ci voleva una struttura portante; teneva dei tondini d’acciaio di vari diametri, proprio per quelle occasioni. La tibia e il perone destri erano spappolati. Guardò il disegno dello scheletro appeso al muro, più per vezzo che per reale necessità, poi decise che ci avrebbe messo degli inserti artificiali, usando colle epossidiche che nemmeno il padreterno avrebbe potuto staccare. Della sinistra poteva salvare il perone, ma la tibia e il femore erano andati, inserti artificiali anche lì. Poi sarebbe passato all’abbellimento. Con vernici, cerone e trucchi era diventato un esperto. Le carcasse uscivano dal suo negozio più belle di come erano entrate, sapeva dare espressione giocando con le ombre, disegnava sopracciglia e truccava occhi e bocca. Di solito le labbra delle carcasse diventavano sottili, lui le ridisegnava con vernici che nemmeno le piogge acide avrebbero potuto intaccare. Insomma, li rendeva quasi umani. Prendeva spunto dai personaggi dei suoi vecchi disegni, le linee del viso, gli occhi espressivi e tutta la serie di ombre e giochi di luce che rendevano mobile un volto. Adorava il suo lavoro e i risultati lo dimostravano. Le carcasse non gli avrebbero sbattuto in faccia novità tecnologiche, già i dottori si stavano stancando di fare esperimenti, ogni tipo di analisi dava un unico risultato: cadaveri, senza la minima reazione, cervelli senza nessun guizzo di vita. Raffaele non capiva come funzionassero, ma sapeva aggiustarli e ogni giorno scopriva nuove cose, come la faccenda della forza: ogni ritornato, che fosse donna, uomo, bambino o vecchio, aveva la stessa forza, quella di un robusto uomo medio. Lui aveva fatto esperimenti nella sua officina, teneva tutta una serie di pesi e una ciclette, aveva i suoi quaderni con gli appunti. Intendeva scrivere un libro. Il pensiero lo faceva andare in solluchero, un libro con il suo nome sopra, da non crederci!
Si mise al lavoro fischiettando. Adorava aggiustare le cose, prendere misure, allineare, unire, incollare. Al rientro a casa avrebbe trovato la sua cena preferita, aveva dato istruzioni precise a sua madre, che nella cucina dove era stata una vita si muoveva a suo agio anche da morta. Raffaele rifletté che ora mancava solo una compagna, una buona moglie silenziosa e ubbidiente, che non parlasse troppo e che non facesse commenti inopportuni. Le donne con cui era stato finivano sempre per giudicarlo, rimproverarlo, dargli consigli, e rimanevano immancabilmente deluse dal suo carattere che, in fin dei conti, pensava Raffaele, non era poi così male. Forse un giorno gliene avrebbero portata una da aggiustare, avrebbe detto che non si poteva riparare, il piano era già pronto, che male c’era? Oppure avrebbe trovato una di quelle carcasse che venivano abbandonate perché i parenti prossimi inorridivano alla vista, che male c’era a darle una casa? Oppure avrebbe visitato i cimiteri, controllato le tombe non ancora aperte, visto le foto, controllato le date, sarebbe stato il cavaliere che salva la donzella dal buio sepolcro. Sorrise, a questo pensiero.
Con le donne non si trovava, inutile provarci. Troppe chiacchiere. Troppe esigenze. Troppo di tutto. Finiva che combinava qualche cazzata e le stronze lo mollavano spezzandogli il cuore. Non sarebbe più successo, avrebbe avuto una compagna ubbidiente e silenziosa. Avrebbe pensato lui a farla diventare bellissima.
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