UN MESE DALL'ORA ZERO
La vecchia Panda sussultò sotto i tonfi dei pistoni. Il motore perse qualche colpo, fu sul punto di spegnersi, poi partì come un corridore che avesse trovato lo sprint necessario ad affrontare la salita. Raffaele chiuse il cofano e grugnì soddisfatto. In fondo era stato un meccanico tutta la vita, e piuttosto bravo, come non si risparmiava di dire a chiunque avesse la pazienza di ascoltarlo giù al bar.
- E’ stata la globalizzazione a mettermi in ginocchio – dichiarava fra un Montenegro e una grappa. Non aveva esattamente le idee chiare su cosa fosse la globalizzazione, ma gli sembrava una parola importante, uno spettro abbastanza grosso per giustificare il fallimento della sua officina, anzi dell’officina di suo padre a essere onesti. Difatti l’insegna dipinta in azzurro diceva: l’officina di Carlo Negretti. Manco un misero “& figlio” aveva voluto metterci, forse già sapeva la fine che avrebbe fatto fare il suo pargolo all'azienda; da parte sua, Raffaele aveva preferito lasciare l’insegna anche dopo la morte del padre, giusto quei due anni che c’erano voluti per mandare a rotoli tutta la baracca. Ma non era colpa sua, le grosse catene gli avevano rubato i clienti, quei posti enormi dove ci trovi tutto: officina, carrozzeria, elettrauto, revisione, tagliando blu e chi più ne ha… Poi c’era da considerare il progresso che falcava minaccioso alle sue spalle pronto a ghermirlo: nuovi metodi d’iniezione, nuovi metodi per la sicurezza in strada, centraline computerizzate, freni controllati da microchip. Mica era uno scienziato lui, ecchecazzo! Lui era un mago con i cari motori di una volta, senza tutte le complicazioni che sembrano nascere apposta per rompere le palle a un onesto lavoratore.
Poi bisognava considerare i clienti sempre più pretenziosi, fare tutto, farlo bene, farlo in fretta. Insomma se l'era vista proprio brutta, al punto di farsi due mesi da facchino per portare qualcosa a casa, mentre la polvere ricopriva i suoi macchinari inutilizzati. Ma improvvisamente le cose erano cambiate, sia per Raffaele Negretti, sia per il resto del mondo.
Non aveva seguito i dibattiti in tv, le opinioni dei vari politici, le teorie di filosofi, opinionisti e tutta quella schiera di personaggi che avrebbero fatto meglio a trovarsi un lavoro vero, quelle cose lo facevano appisolare sulla poltrona a confronto di un sano film con sparatorie e inseguimenti in auto da paura. Non aveva nemmeno subìto il ‘trauma del ritorno’, come lo chiamavano gli psicologi, che garantivano assistenza a tutti quelli che ne facevano richiesta. Dopo i primi fenomeni d’isteria, assodato che i ritornati non erano pericolosi, molta gente aveva aperto le tombe di famiglia e le cappelle. Raffaele lo stesso. I suoi genitori erano sepolti nel cemento. Hai voglia il tempo che ci avrebbero messo a uscire di lì... Brandendo un piccone era entrato nel piccolo cimitero, spintonando un poco i manifestanti che, in nome del rispetto dei morti, chiedevano che non si profanassero le tombe. Rispetto? si domandava Raffaele. Forse preferivano che li lasciasse al buio per l’eternità? A grattare la cassa di zinco nella speranza, un giorno, di riuscire a rivedere il sole? Certo che la considerazione che suo padre lo avrebbe potuto aiutare con la nuova attività e sua madre si sarebbe occupata delle faccende in casa aveva avuto un peso considerevole nella sua decisione e, a voler essere sinceri, anche un pizzico di curiosità ci aveva messo lo zampino.
Quando aveva aperto le bare si era ritrovato addosso sguardi stupiti. Non erano conciati male. Certo, la pelle era scura, ma la conservazione perfetta, persino gli occhi di sua madre morta sette anni prima; invece il babbo era morto da poco più di due anni e sembrava tornato da un sonnellino. Raffaele aveva temuto che gli chiedesse spiegazioni sull’azienda di famiglia, si vedeva già subissato di commenti sarcastici e frasi che sottolineavano la sua scarsa intelligenza .
- Ci ho messo tutta la vita a tirarla su - ripeteva fino alla nausea il genitore. - E non voglio che un testone mentecatto rovini tutto. - Invece non gli aveva chiesto niente. I ritornati non parlavano quasi mai, la gente pensava che fosse un problema di cervello, ma Raffaele sapeva che il problema stava nei polmoni: non erano più abituati a respirare, alcuni capivano e superavano il problema, altri dovevano fare sforzi sovrumani anche per spiccicare la più insignificante sillaba.
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