Si avvicinò alla finestra che dava sul retro e, attraverso una fessura, osservò il mucchietto di terra smossa ai piedi della grande quercia, proprio dietro lo steccato. Erano passati dodici giorni da quando aveva scavato la fossa per sua moglie. Dopo il pomeriggio in cui quella donna li aveva sorpresi a poche centinaia di metri dalla casa. Dalla loro salvezza.
Pareva fosse trascorsa un’eternità.
Per l’ennesima volta provò a ricostruire nella mente quei momenti concitati. Voleva capire se avesse potuto fare qualcosa di diverso per strappare la moglie dalle braccia della morte. Ricordava come, nonostante la spossatezza dovuta alle due settimane di vagabondaggio ininterrotto in giro per la città in cerca di un riparo, avessero deciso di puntare sulla campagna. La vita in centro era diventata impossibile. Orde di morti ovunque e poche vie di fuga. Lì, senza dubbio, avrebbero incontrato un numero inferiore di mostri, data la scarsa densità abitativa. E così era stato.
Quando, dopo un giorno di cammino, erano giunti nel villaggio e avevano scorto l’edificio in lontananza, ai loro occhi stanchi era parso disabitato e sicuro. Si erano affrettati in quella direzione. Nessuno dei tre, però, aveva avuto l’accortezza di guardare oltre la siepe del giardino.
Erano a un passo dal cancello quando aveva percepito qualcuno sbucare fuori all’improvviso, ruggendo, e afferrare la moglie per un braccio. Aveva più o meno cinquant’anni, una femmina. Lui aveva spinto via la bambina, estratto il coltello di tasca e colpito su una spalla la donna. Ma questa possedeva una forza smisurata rispetto al fisico minuto. Con uno strattone lo aveva scagliato lontano e in un attimo aveva morso la moglie alla gola. Le grida di dolore gli si erano stampate nella testa, come un timbro indelebile. La figlia piangeva e lo supplicava di aiutare la madre.
La situazione era degenerata. Aveva capito che non c’era più nulla da fare per sua moglie, quel morso l’aveva condannata. Aveva afferrato la bambina e con lei in braccio era corso verso l’ingresso della casa. Alle loro spalle la moglie aveva continuato a strillare, mentre la donna la divorava ancora viva. Sua figlia, in preda alla disperazione, lo picchiava, gridando: – L’hai abbandonata, l’hai abbandonata! – Ancora sentiva la rabbia dietro quegli schiaffi. Sua figlia lo considerava responsabile dell’accaduto. Se solo avesse colpito alla testa e non sulla spalla...
In testa. In testa.
Solo così muoiono.
Continuò a ripeterselo, guardando all’esterno il mucchio di terra sotto l’albero.
Pensò che fosse stata la tachicardia a svegliarlo. Dopo il pranzo la figlia era tornata nella camera da letto al piano superiore e lui, senza accorgersene, si era appisolato sul divano. In mano teneva il volume sfilato dalla libreria prima di accomodarsi in salotto: “Il buio oltre la siepe”di Harper Lee. Lo aveva scelto attratto dal titolo, piuttosto ironico in quel frangente. L’occhio cadde sulla pagina ancora aperta: “Ci son degli uomini a cui bisogna sparare prima di dirgli buona sera, e anche allora non valgono la pallottola che serve ad ammazzarli”. Spostò lo sguardo accanto a sé, dove era appoggiato il fucile. Due colpi in canna. Il resto delle munizioni lo teneva lui nelle tasche dei pantaloni. Pronte per ogni evenienza.
Si alzò e si diresse in cucina. Sebbene da qualche giorno si nutrisse regolarmente, era sempre affamato. Aprì lo sportello della dispensa e i suoi occhi scrutarono le numerose lattine di legumi, pasta in scatola, tonno sott’olio e pelati ammassati sugli scaffali prima di trovare ciò che gli interessava: una confezione di biscotti al cioccolato. L’aprì e cominciò a masticarne uno, assaporando il gusto dolce della glassa allo zucchero in contrasto con l’amaro del ripieno al cacao.
D’un tratto, un soffio d’aria fredda lo sfiorò alla nuca. Si voltò di scatto per capire da quale punto della casa provenisse. Eppure ricordava di aver sigillato ogni porta e finestra...
Si affacciò in corridoio e notò la porta d’ingresso spalancata. Da lontano poteva intravedere le gambe dell’uomo che aveva accoltellato in veranda.
– Piccola, dove sei? Perché hai aperto la porta senza chiedermi il permesso?
Nessuna risposta. Qualcun altro era entrato in casa?
Lentamente si spostò verso il soggiorno. Era disarmato e voleva riprendersi il fucile. Con la mano si tastò la tasca dei pantaloni e avvertì la sagoma delle pallottole. Erano ancora al loro posto.
6 commenti
Aggiungi un commentoE ci lasci così, Simo!?!? Senza che sapremo mai il destino della bimba e il resto? Malefico! mi è piaciuto molto! In così poco spazio, sei riuscito a portarmi lì.
Sai la cosa che mi è piaciuta di più? Il modo con cui il protagonista percepisce che è entrato qualcuno in casa... Il movimento d'aria, gli attimi
di dubbio, l'incertezza per la figlia...
Complimenti!!! Spero a presto per il prossimo, eh. Intanto vado a cercarmi il primo nella raccolta.
Un abbraccio
Bravo Bravo Bravo
Complimenti Simone, letto anche un tuo precedente direi che ti vengono assai bene le storie angoscianti che coinvolgono bambine... credo ti nascano dal profondo. E colpiscono.
Cavolo Simo, scritto veramente bene!!! Pero che ansia
Nel sangue dei vampiri rimane il mistero di personaggi senza passato e senza futuro, ma illuminati in un lampo di storia: un modo efficace per alimentare l’immaginazione dei lettori.
bruno telleschi
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID