La prima goccia di sangue finì poco sotto l’orecchio destro, circondata da una corona di schizzi più piccoli, quasi invisibili. Dopo qualche secondo iniziò a scendere lungo la linea della mandibola fino a raggiungere, con uno scarto improvviso e spinta dalla forza di gravità, il collo logoro della camicia. Il tessuto sporco si tinse a poco a poco di un rosso scuro, quasi nero. Un altro spruzzo, più copioso, lo raggiunse in pieno petto, macchiando il gilet che indossava da più di un mese.
Aveva colpito quell’uomo sul cranio con tanta violenza che il manico del coltello gli aveva procurato un segno profondo sulla mano, lasciandola indolenzita. Guardò il corpo steso davanti ai suoi piedi senza provare alcunché, se non rabbia e stanchezza. Era all’incirca il ventesimo essere umano che uccideva da quando tutto era cominciato. Sempre che fosse possibile uccidere qualcuno che era già morto. Ormai agiva con gesti meccanici e spogliato delle emozioni, che non c’erano più, spazzate via dalla nube tossica.
– Si rialzerà? – Sua figlia, otto anni, si affacciò sulla veranda dove giaceva il cadavere. Un’espressione mista di spavento e rassegnazione le storceva la bocca in uno strano ghigno.
– No, non più. L’ho colpito alla testa – rispose lui senza neanche voltarsi.
– Non voglio più vederti uccidere le persone. È proprio brutto.
– Lo so, è orribile. Ma se non ci difendiamo rischiamo la pelle. – Ai singhiozzi della bambina, capì di essere stato troppo duro. – Vedrai – disse, voltandosi e abbracciando la figlia – che non sarà più necessario.
– Non verranno più?
Preferì non ribattere, privo di una risposta appropriata. Temeva fossero dappertutto, ormai. Per rassicurarla le baciò la fronte e sprangò la porta alle sue spalle. Il sole di mezzogiorno era alto nel cielo, e l’aria densa e polverosa. Solo qualche settimana prima, a quell’ora della domenica, avrebbero potuto udire le campane della Chiesa attraversare la vallata e richiamare i fedeli alla Messa della mezza. Aria di festa, schiamazzi dei ragazzini, scambi di saluti fra uomini e donne in abiti dai colori sgargianti, lungo il viale. Alla maniera tipica delle comunità di campagna.
Ma le strade erano schiacciate dal silenzio e dall’oblio.
Diede un ultimo sguardo al cadavere nel patio. Alcune mosche già banchettavano intorno alla bocca dell’uomo riverso sul pavimento. Indossava una tuta grigia, o ciò che ne restava. Probabilmente in vita era stato un postino. La borsa che portava a tracolla era ricolma di lettere, macchiate di sangue e stropicciate.
– Voglio la mamma.
– Cosa? – Fece finta di non aver capito, anche se una morsa gli strinse il cuore.
– Voglio la mamma. Perché non è venuta con noi?
Lui sapeva che quella frase nascondeva un tono accusatorio. –La mamma… – fece una pausa per scegliere al meglio le parole. – La mamma è stata aggredita mentre fuggivamo. E quando una di quelle persone ‘ammalate’ ti morde sei spacciato, lo sai anche tu. Non avevo con me il fucile che abbiamo trovato qui.
– Avevi il coltello.
– Basta così. Adesso vai di sopra a…
– Non ho nulla da fare!
– Invece sì! Devi fare la guardia alle finestre e avvisarmi quando scorgi qualcuno che si avvicina alla casa.
– Ok... – La bambina corse via. Sentì che saliva le scale in legno di quella casa che non era loro. Si rammaricò di averla trattata in modo tanto brusco, ma si rivelava sempre più difficile trovare la forma giusta per rassicurare una ragazzina i cui occhi, così giovani, avevano visto il mondo sprofondare. E anche lui era sfiancato dal dover proteggere giorno dopo giorno la vita della figlia, oltre che la sua.
I raggi solari che filtravano dalle tavole di legno fissate alle finestre rendevano il salotto dell’abitazione un ambiente quasi accogliente. L’uomo osservò il divano con le fodere a fiori rossi e i grossi cuscini arancione, il tappeto bianco, il tavolo in legno chiaro. Più in là, l’angolo cottura. Il proprietario della casa aveva avuto gusto nell’arredarla, una tipica abitazione di campagna con ambienti spaziosi e mobilio d’annata in stile “country”. Tutto appariva in ordine e disposto in modo amorevole, non fosse stato per lo strato di polvere accumulatosi in più di un mese. Lui e la bambina erano lì da un paio di settimane e vi sarebbero rimasti fin quando fossero durate le scorte di cibo presenti in dispensa. Alimenti in scatola, bottiglie d’acqua e conserve: erano stati l’elemento determinante nella scelta della casa.
6 commenti
Aggiungi un commentoE ci lasci così, Simo!?!? Senza che sapremo mai il destino della bimba e il resto? Malefico! mi è piaciuto molto! In così poco spazio, sei riuscito a portarmi lì.
Sai la cosa che mi è piaciuta di più? Il modo con cui il protagonista percepisce che è entrato qualcuno in casa... Il movimento d'aria, gli attimi
di dubbio, l'incertezza per la figlia...
Complimenti!!! Spero a presto per il prossimo, eh. Intanto vado a cercarmi il primo nella raccolta.
Un abbraccio
Bravo Bravo Bravo
Complimenti Simone, letto anche un tuo precedente direi che ti vengono assai bene le storie angoscianti che coinvolgono bambine... credo ti nascano dal profondo. E colpiscono.
Cavolo Simo, scritto veramente bene!!! Pero che ansia
Nel sangue dei vampiri rimane il mistero di personaggi senza passato e senza futuro, ma illuminati in un lampo di storia: un modo efficace per alimentare l’immaginazione dei lettori.
bruno telleschi
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