Ciao Samuel, benvenuto su Horror Magazine. Parliamo della tua ultima fatica letteraria, pubblicata di recente da Edizioni XII. A due anni dal tuo esordio fulminante con Malarazza (Epix – Mondadori), torni con una nuova antologia. Come hai affrontato questo nuovo lavoro, perché nuovamente la forma del racconto e qual è il filo conduttore dell’opera?
Non è un caso che i migliori lavori nel campo dell’horror siano racconti. Pensiamo a Lovecraft, a Poe, a Jean Ray, a MR James, a Bradbury, a King. A mio parere, autori come Barker e Lansdale hanno dato il meglio nei racconti. Molti famosi autori di letteratura, anche insospettabili, si sono cimentati col racconto gotico o fantastico, che gode di una gloriosa e storica tradizione letteraria. Vogliamo aprire il capitolo delle ghost stories? Quanti romanzi di fantasmi hanno funzionato, rispetto ai racconti brevi? Non c’è confronto.Soprattutto nell’horror puro, ritengo che sia difficile tenere alta un certo tipo di tensione e di angoscia, per un lungo numero di pagine. Non dico che non sia possibile (ci sono romanzi capolavoro a smentirmi), ma è molto più difficile e si rischia spesso di far calare il ritmo. Nel racconto invece la tensione è subitanea, è come una sberla, arriva e se ne va, lasciandoti sbigottito.
Per natura sono molto curioso, e ho sempre voglia di leggere e scrivere su mille cose diverse. Il racconto in questo senso è lo strumento ottimale, perché mi permette di aprire e chiudere un argomento con relativa velocità.
Rispetto a Malarazza ho trovato dei racconti più personali, alcuni decisamente più intimisti (anche se filtrati inevitabilmente dalla fiction) in cui ti metti più a nudo. C’è qualcosa di catartico nello scrivere, nel riuscire a liberare i propri “demoni” sulla carta?
Non credo ci sia qualcosa di personale nella Mezzanotte del Secolo più che in Malarazza o in altri miei testi. L’unica cosa davvero autobiografica nei miei lavori è l’uso di Milano. Non so se l’atto della scrittura sia catartico; a me piace leggere e scrivere di mostri, di creature immaginarie, di incubi, di varchi nascosti che dal nostro mondo permettono di arrivare a realtà altre, al perturbante.
Non amo particolarmente l’iconografia che vede lo scrittore horror pervaso da demoni di chissà quale natura. Credo piuttosto il contrario. L’horror, dietro la sua facciata così cinica, così cupa, nasconde un preciso sottinteso: cioè l’esistenza di una vita dopo la morte. Comunque la si possa pensare sull’argomento, io lo trovo un messaggio molto forte.
Dalla lettura dei racconti esce prepotentemente la città di Milano: “con i suoi ritmi, le sue ossessioni, le sue strade e gli edifici antichi, i suoi rumori, le sue luci sinistre e la gente che le abita.” Hai una passione per le leggende della tua città e ogni volta che scrivi un nuovo racconto, hai in mente una location? Raccontaci un po’ del tuo metodo di procedere.
Mi piacciono molto le leggende su Milano, da quelle classiche a quelle postmoderne; ma preferisco inventarne di nuove. Uso pochissime leggende già esistenti, anche se il substrato è chiaramente quello.
Di solito non arrivo mai alla location dopo il racconto, avviene invece il contrario: prima mi invaghisco di un quartiere, una zona, anche solo uno scorcio della città, che magari non avevo mai notato in un certo modo; e il racconto nasce da solo.
In definitiva, Milano è per me una fucina inesauribile di idee.
Che cos’è la Malarazza, che incontriamo nuovamente qui in uno dei tuoi racconti?
Ricollegandomi alla domanda precedente: una leggenda milanese che ho inventato. Un popolo antico, parallelo al nostro, segreto, che vive in mezzo a noi ma nascostamente, e che ha il suo epicentro a Milano, fin da tempi molto antichi. La Malarazza trattava con i Celti, e ha richiesto un tributo di sangue per permettere loro di edificare qui il Nemeton. Stessa cosa con i Romani, e con tutti i successivi invasori, colonizzatori, comandanti e governatori, che non sono mai stati i veri sovrani della città. La Malarazza ne è il vero sovrano occulto, da millenni. Ormai è una razza quasi estinta, ne esistono pochi sopravvissuti, ma questo non significa che siano deboli, tutt’altro. In ogni caso, è meglio non incontrare mai un loro esponente. La morte, in tal caso, sarebbe la migliore delle sorti.
È adesso in edicola il nuovo numero di Urania (Mondadori), dal titolo "Onryo - Avatar di morte". Una raccolta di racconti horror scritti da cinque scrittori giapponesi e cinque italiani, curati da Danilo Arona e Massimo Soumaré che contiene il tuo racconto "Fobia". Cosa ci puoi dire a riguardo?
E’ un bel progetto. Il filo conduttore è l’horror tecnologico giapponese in stile “The Ring”.
L’antologia doveva chiamarsi “Ringers”, e uscire per Epix; poi la serie ha chiuso, i tempi si sono allungati, ma alla fine abbiamo avuto una cornice ancora più prestigiosa, cioè Urania.
Oltre agli ottimi racconti italiani, Onryo rappresenta una rara occasione di leggere della buona narrativa fantastica giapponese.
Il mio racconto unisce la ghost story classica al tema degli hikikomori, i giovani giapponesi che si isolano volontariamente nella propria abitazione, a volte per anni, eliminando ogni tipo di rapporto sociale. E’ un fenomeno agghiacciante, e di enormi proporzioni. “Fobia” ne è la mia interpretazione in salsa italiana.
I riferimenti musicali ricorrono spesso nei tuoi racconti. In genere è musica pop (Tiziano Ferro in Malarazza o Malika Ayane in questa nuova antologia, per citarne alcuni) e a volte l’effetto che ottieni è grottesco e straniante, comunque sempre interessante. Immagini prima la scena e poi abbini la musica, o a volte alcuni brani t’ispirano le scene?
Direi entrambe le cose.
Le mie storie nascono da un preciso humus geografico, composto da cultura, folklore, tradizioni. La musica è un elemento fondamentale nella cultura di un popolo o di un paese, per cui il suo inserimento nei miei lavori scaturisce naturalmente.
Inoltre, come tu stesso fai notare, il contrasto fra un certo tipo di musica melodica e alcune scene horror, è straniante.
Come ti sei avvicinato alla scrittura e come hai costruito il tuo stile? Quali sono state le tue influenze principali? E come concili la tua vena di narratore da quella di sceneggiatore (ricordiamo ai lettori che sei sceneggiatore presso Sergio Bonelli Editore). Raccontaci una tua giornata tipo e che consigli daresti a chi vuole intraprendere il tuo stesso percorso.
Ho iniziato a scrivere a sei anni (inventavo storie anche prima, solo che non riuscivo a decodificarle!). E’ stato molto naturale. Per motivi familiari da bambino trascorrevo molte ore da solo in una scuola elementare vuota, soprattutto nei mesi estivi, e per passare il tempo fantasticavo su personaggi e situazioni inventate, di fatto creando storie nella mia mente. Alla fine della giornata, battevo a macchina su una vecchia Olivetti in segreteria, memorizzando su carta quello che avevo immaginato.
I lunghi corridoi silenziosi, con la luce sbiadita che filtrava dalle persiane semichuse, le aule buie e deserte, le sedie e i banchi impolverati, la palestra vuota dove ogni tanto riecheggiava il rimbalzo di un pallone…
Le storie che nascevano, alla fine, era quasi tutte storie di paura. Questo è stato per me il battesimo nel mondo dell’horror.
Le mie influenze principali per quanto riguarda la narrativa sono King, Lovecraft, Bradbury, Buzzati e Scerbanenco; per il fumetto Nolitta, Sclavi, Boselli, Miller, Eisner.
Le attività di scrittore e di sceneggiatore sono molto simili. Il procedimento mentale è uguale. Cambiano i tecnicismi. La differenza sostanziale che rilevo è che la narrativa ti dà una sensazione (in realtà errata) di assoluta libertà, mentre il fumetto seriale è ben codificato in regole di un certo tipo. E’ appunto una sensazione errata, perché anche la narrativa ha ovviamente regole ferree (stilistiche, logiche, grammaticali), ma è più facile aggirarle. Con quale risultato, poi, è tutto da vedersi!
I consigli che posso dare sono quelli classici: leggere sempre ed esseri curiosi su tutto, senza incorrere nell’errore di limitarsi al proprio genere preferito; è proprio la contaminazione a creare nuovi stimoli creativi. Cercare di migliorare costantemente il proprio stile di scrittura. Imparare dai propri errori ed essere consapevoli che la vita di uno scrittore è fatta anche di rifiuti editoriali, di lavori riusciti e di altri meno.
Si può vivere facendo lo scrittore? Come vedi il mercato editoriale italiano oggi?
Facendo solo lo scrittore (o lo sceneggiatore), in Italia no, è impossibile.
Se non aggiungendo corsi, collaborazioni a riviste, consulenze editoriali, attività impiegatizia legata all’editoria…
Lo scrittore o lo sceneggiatore puro, che vive di sola scrittura, in Italia è una figura romantica, che sfuma nella leggenda.
Le case editrici (serie) che pubblicano fantastico sono forse due o tre. Il resto del genere non se la cava meglio, penso alla fantascienza, alla spy-story, al pulp. Anche qui, tre-quattro editori che fanno ciò che possono, ma molti ottimi autori stranieri restano sconosciuti e soprattutto le opere italiane non vengono valorizzate, né in Italia né all’estero. Quand’è stato che un autore italiano di genere è stato tradotto all’estero, dopo Evangelisti (che a sua volta è stata una grande eccezione)? Pochissimi, rispetto alla moltitudine di produzione nostrana. I casi sono due: o produciamo, tutti, materiale così mediocre da essere invendibile all’estero (e io non lo credo), oppure semplicemente non esiste un sistema-paese, in ambito narrativo, in grado di valorizzare i nostri talenti fuori dall’Italia (e neanche dentro).
Ti vedremo mai all’opera su qualcosa di più lungo come un romanzo? Un tuo romanzo breve, in realtà, è già apparso: si tratta di un ebook scaricabile dal tuo sito.
Ne ho due in cantiere
Il primo è già concluso; è un romanzo fanta-horror attualmente in visione a un editore nazionale. È ambientato a Milano durante l’Expo 2015.
Il secondo è in fase di completamento; è un lavoro complesso soprattutto dal punto di vista della ricerca storica e della documentazione. È un romanzo horror-fantasy ambientato a Babilonia nel trecento avanti Cristo, durante gli ultimi giorni di vita di Alessandro Magno.
Credo molto in entrambi i progetti.
Che cosa c’è nel futuro di Samuel Marolla? Ci puoi dare qualche anticipazione?
In parte l’ho fatto nella domanda precedente. Per quanto concerne la narrativa, aggiungerei il potenziamento dell’autoproduzione (ho appena pubblicato un secondo ebook in lingua inglese, il racconto horror “La Janara”).
Nell’ambito del fumetto, sta proseguendo e si sta consolidando la mia collaborazione con Sergio Bonelli Editore. A febbraio 2012 esce in edicola l’albo di Dampyr “La bambola veneziana”, del quale ho scritto il soggetto. Ad agosto 2012 uscirà un nuovo albo di Dampyr con una mia sceneggiatura completa. Sempre per Bonelli, sto sceneggiando la mia prima storia per la serie “Zagor”, brillantemente curata da Moreno Burattini. Scrivere per l’immortale Spirito con la Scure mi riempie di orgoglio e di emozione, perché è il fumetto con cui sono letteralmente cresciuto da bambino, perché è stato creato da Sergio Bonelli, recentemente scomparso, e infine perché ha sulle spalle cinquant’anni di vita. Pochi altri personaggi a fumetti, nel mondo, possono vantare una simile, gloriosa storia.
Concludo con l’intenzione di approcciare il mercato internazionale. Il primo passo è stato fatto a gennaio 2012, quando sono diventato membro della famosa Horror Writers Association. E’ per me un grande onore.
Samuel Marolla è nato e vive a Milano.
Si occupa di narrativa di genere e di fumetto avventuroso.
Attualmente lavora con Mondadori Editore ed Edizioni XII per la narrativa, e con Sergio Bonelli Editore (serie Dampyr) per il fumetto.
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