Quando avevamo la fortuna di dormire un paio d’ore filate, speravamo di svegliarci in un’altra realtà, di prendere fiato e realizzare con gioia di aver fatto il più brutto incubo della nostra vita.

Invece, il cielo sopra di noi era sempre lo stesso.

E l’odore, sempre uguale: fumo, cordite e carne arrostita di varia natura.

Bestie.

Quello era un conflitto a cui nessuno voleva o poteva credere, ma tutti erano stati chiamati a farne parte.

Combattenti o vittime inermi.

Senti?

A un tratto, udii qualcosa. Drizzai le orecchie. No, non era là, fuori, era dentro, nella mia testa. Il suono lungo e fastidioso di un piccolo campanello. Tiiin! Stavo ancora con lo sguardo fisso sull’apertura, quanti secondi erano passati? Quanti anni? Tiiin! Ebbi l’istinto di voltarmi verso i miei compagni ma non ci riuscii. Era come se qualcuno mi tenesse la testa ben ferma e rivolta verso l’apertura.

Vedi?

Dal nero emerse qualcosa. Piano. Lentamente. Da quella pozza verticale di bitume, emerse l’ultima cosa che mi sarei aspettato di vedere in un posto come quello.

Tiiin...

Era una bambina. Piccola. Due, tre anni al massimo. Indossava una camicia da notte candida, immacolata come una tovaglia tenuta in serbo per un giorno di festa. Teneva in braccio una bambola che le somigliava. E molto. Poteva essere lei, in dimensioni ridotte. Anch’essa indossava una camicia da notte, bianca, come la neve. Immacolata. E in braccio aveva una bambola. Uguale alla bambola sua madre. Uguale alla bambina, madre della bambola. Poteva essere lei. Sì. E indossava anch’essa... Dio... Distolsi lo sguardo. Strizzai gli occhi per tre volte. Non mangiavo dal giorno prima, la fame mi stava giocando un brutto scherzo. Pancetta e fagioli mi attendevano al campo. Riscaldati nel falò di un bidone di nafta. Roba da gourmet.

Tornai sulla porta e la bambina era ancora lì che mi guardava coi suoi occhi celesti, a un passo dall’uscio, il visino tondo come una mela. Così facevano le sue copie-figlie. Almeno tutte quelle che ero in grado di scorgere.

Brutta cosa, la fame.

Che diamine faceva lì una bambina? Quante creature innocenti ero stato costretto a vedere, accatastate ai margini delle strade, i corpicini ridotti a stracci di carne... Mi si strinse il cuore e scesero le lacrime a rigarmi il volto nero di fango e caligine. Avrei voluto urlare fino a sputare il fegato se fosse servito a fermare quella pazzia. Tesi la mano tremante alla bambina, quando notai qualcosa di diverso su di lei. Su di loro. I capelli color fieno si stavano allungando sotto i miei occhi. Scendevano sul pavimento lastricato di calcinacci. Capelli vivi. Come se la bambina e le bambole avessero le braccia troppo corte per abbracciarmi e volessero farlo con la chioma. Ritirai la mano neanche l’avessi infilata in un braciere. Fissai a bocca aperta i torrenti biondi mentre attraversavano il fango bruno per venire a baciarmi gli anfibi sporchi; era meraviglia, la mia, quasi mi stessero coprendo d’oro. Ancora una risata nervosa a cui seguì un brivido che mi percorse il corpo dalla nuca ai talloni. Forse stavo sognando, dopo un pasto a base di pancetta e fagioli andati a male. Tornai con gli occhi sulla bambina: il vestitino, le braccia attorno alla bambola, il viso tondo, gli occhi cel...

Il mio cuore saltò un battito.

Non aveva più gli occhi. Cristo, non li aveva più! Li aveva perduti, erano caduti nel fango? Al loro posto c’erano due buchi neri come quelli di un gatto morto da giorni, in stato di decomposizione. E le sue bambole-copie... non avevano più gli occhi neanche loro.

Famiglia d’orbite svuotate.

Tiiin!

Ancora il rintocco fastidioso di quel campanello mi diede un nuovo colpo al cuore per piantarmi come un chiodo storto in un muro di paura. Le ciocche di fieno si strusciavano sulle mie caviglie come gatti in cerca d’amicizia. Io tenevo ancora lo sguardo atterrito su quei buchi neri, specchio dei casermoni dalle finestre fatte di notte eterna.

Tutto quel buio mi stava entrando negli occhi e pensai che avrei pianto nero di seppia per il resto dei miei giorni.

Bam! Bam!

Qualcuno esplose due colpi alle mie spalle schiantando il silenzio. I miei compagni. I proiettili raggiunsero la bambina in pieno petto facendola volare all’indietro come un birillo bianco che sparì nell’oscurità. Amos e Raf. Li sentii ricaricare di nuovo i fucili a pompa. Bam! Bam! Ancora colpi sparati all’indirizzo del ritaglio nero. E ancora un’altra ricarica, nuovi colpi incamerati ed esplosi nella pancia piatta del buio.