Londra 1958.
Una serie di misteriosi omicidi prelude alla riapertura di un caso risolto forse solo in apparenza, denso di preoccupanti e inaspettati sviluppi. La scomparsa dalla tomba di una marchesa caduta in disgrazia, da poco defunta - donna dall'indiscutibile fascino, musa ispiratrice di Gabriele d'Annunzio, appassionata di occultismo e interprete dei brillanti riti della Belle Epoque - muove i protagonisti, in una corsa contro il tempo, alla ricerca del suo calco di cera da cui lei avrebbe potuto riattingere vita. Dopo un incontro a Venezia con Peggy Guggenheim, i nostri si vedranno costretti a recarsi a Berlino, in una città che mostra ancora le ferite della guerra e dove sopravvivono gli ultimi scampoli di quelle società segrete che furono legate ai presupposti oscuri e alle origini magiche del nazismo.
La figura di cera è la prima incursione nell’horror del romano Riccardo D’Anna, che con questo libro realizza l’ipotetico sequel di Il morso sul collo (Gargoyle 2009) scritto nel 1960 dall’inglese Simon Raven. Proprio dalla revisione linguistica operata su questo testo a D’Anna è scoccata l’ispirazione per scrivere quest’opera che riprende laddove il primo romanzo di Raven finisce, mutuandone i personaggi e il tema vampirico.
Protagonisti della storia sono, infatti, il maggiore Antony Seymour (che ci dà il suo punto di vista narrando la vicenda), l’abile ispettore John Tyrrel, e il brillante studente e tombeur de femme Piers Clarence, motore della vicenda e che ricordano, volontariamente, personaggi usciti dalla penna di Conan Doyle (la coppia Seymor – Tyrrel ricorda l’altra celebre coppia Holmes Watson). A loro si unisce come esperto studioso il bizzarro Walter Goodrich.
I rimandi alla vicenda di Il morso sul collo sono inevitabilmente continui, cosa che potrebbe essere la prima “pecca” del libro per chi volesse leggere il volume in maniera autonoma. La vicenda è comprensibile ma probabilmente il libro può essere apprezzato appieno leggendo anche il primo episodio.
Altro difetto del libro è quello di mettere in scena dei personaggi consolidati che non vengono approfonditi psicologicamente e che sembrano muoversi seguendo uno schema già prestabilito, che si rifà alla tradizione del giallo classico inglese, per risolvere l’enigma della “figura di cera” passando attraverso numerose e suggestive location come Londra, Berlino e Venezia.
Nella loro indagine i tre s’imbatteranno in numerosi citazioni di persone e cose realmente esistite, a partire da Peggy Guggenheim, famosa collezionista d’arte, l’occultista Aleister Crowley, gli scrittori dell’orrore M.R. James e Algernoon Blackwood, il pittore Gennaro Favai per arrivare all’acquerello L’isola dei morti o al famoso museo delle cere di Madame Tussauds, meta ancora oggi di numerosi turisti, che se da una parte strizzano l’occhio al lettore più avveduto diventando gioco intellettuale dall’altra appesantiscono la lettura con i continui rimandi alle note a fondo capitolo.
Nel libro si parla anche di pratiche mistiche-esoteriche del nazismo ancora presente in frange nostalgiche nel periodo in cui viene narrata la vicenda (l’episodio di rito sacrificale a Berlino), buono spunto, ma che non viene approfondito ma solo accennato dallo scrittore.
La stessa marchesa Lucrezia d’Ateleta di Montevago e la sua statua di cera, creata tramite pratiche negromantiche, che potenzialmente avrebbe una carica molto forte e seducente (“Due occhi lucenti, febbricitanti, cerchiati di bistro, lo fissavano in modo ipnotico. Emanavano un calore magnetico, cui non era possibile sottrarsi”) appare in brevi e fugaci apparizioni, rimanendo quasi a margine di tutta la vicenda.
Il finale, poi, con i buoni che sconfiggono i cattivi, non viene mostrato direttamente, ma raccontato dalla voce del maggiore Seymor che a sua volta lo apprende dall'ispettore Tyrrel.
La figura di cera è senz’altro un’opera densa, piena di citazioni e rimandi, un caloroso omaggio ai vecchi film dell’orrore della Hammer e Universal, con i mitici Vincent Price e Lon Chaney, ma che si rivela probabilmente un’opera non pienamente riuscita, appetibile per i lettori che avevano apprezzato il primo episodio e per i nostalgici di certe atmosfere dell’horror classico.
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