Twain si alzò con lentezza per poi chinarsi, con un sospiro,
sull’animale. La stanza puzzava di scimmia e della relativa
merda. Con riluttanza, afferrò Huck per i piedi ma, nel sollevarlo,
si accorse che quel tenace stronzo non intendeva affatto
mollare la presa sul massiccio tomo di Melville, trascinandolo
con sé. Twain dette uno scossone alla scimmia: Moby
Dick finì per staccarsi assieme allo stronzo. Poi sbirciò con
cautela dall’unica finestra – la casba sottostante era immersa
nel buio – e fece volare Huck dall’apertura.
Fu un lancio pregevole, che fornì alla scimmia un sostanziale
abbrivo.
Poi Twain udì un tonfo sonoro, e si rese conto che tale era
stato il suo impeto, nello scagliare via l’animale, da averlo spedito
dritto contro un muro, dalla parte opposta dello stretto
vicolo.
Non era certo quello il modo giusto di chiudere una vecchia
amicizia, ma Twain non aveva la minima intenzione di
seppellire quella piccola figlia di puttana; anzi, il vedersela
morire sotto gli occhi l’aveva fatto incazzare non poco. Huck
era sparito per un giorno intero, tornando in evidente stato di
malessere, e aveva vomitato più di una volta per poi piazzarsi
sullo scaffale come a voler schiacciare un sonnellino.
A un certo punto della nottata Twain si era accorto di un
rumore che, per un attimo, aveva creduto provenire dal suo
stesso intestino; ma gli era bastato accendere la lampada per
capire che in realtà si trattava di quello stronzo a forma di fico
schizzato via dal culo di Huck. Poi aveva visto la scimmietta
scalciare a ripetizione, prima di restare immobile.
Troppo sbronzo per muovere anche un solo dito, Twain si
era limitato a spegnere la lampada e riaddormentarsi.
Qualche ora più tardi, distrutto dal mal di testa ma abbastanza
sobrio per chiedersi se avesse sognato oppure no, l’aveva
accesa di nuovo scoprendo che, in effetti, Huck era ormai
defunto come il romanzo vittoriano ma senza neanche la speranza
di poter sopravvivere su uno scaffale. Già le mosche se
la stavano spassando alla grande, impegnate a perlustrare
ogni centimetro dell’animale, e – grazie al feroce caldo africano
– dal cadavere di Huck fumigava un tanfo capace di mandare
al tappeto un avvoltoio.
Poche storie. La scimmia doveva sparire.
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