La casa editrice Nutrimenti ha il merito di averci fatto conoscere un autore eclettico e interessante come Percival Everett. In questi giorni viene pubblicato il suo romanzo Deserto americano (American Desert, 2004).

In precedenza in Italia sono usciti: Glifo, La cura dell'acqua e Ferito per Nutrimenti e Cancellazione per Instar Libri.

L’autore è americano, il suo è stato un percorso abbastanza inusuale, è passato dal lavoro di bracciante a quello di professore universitario e ha pubblicato in America quattordici romanzi e diverse raccolte di racconti. Il suo carattere eccentrico, il suo stile decisamente innovativo e la sua narrazione genialmente ironica gli hanno meritato il posto importante nel campo della narrativa statunitense.

A dargli l’idea di scrivere Deserto americano, racconta l’autore è stata una feroce emicrania con il relativo pensiero di potersi tagliare la testa per porre fine al dolore e così nasce Ted Street, il protagonista, un uomo inetto, un perdente, un fallito che decide di suicidarsi, ma prima di poter attuare questo progetto ha un incidente con la macchina e perde letteralmente la testa.

Per il funerale la testa gli viene riattaccata e durante lo stesso lui si “risveglia” e riprende, si fa per dire, a vivere.

Un fatto straordinario, che sconvolge la sua non-vita e la vita dei suoi cari, terrorizzati dal suo ritorno ma anche dal fatto che lui ora può “entrare” nella mente e nel passato delle persone.

Inoltre sarà perseguitato da sette religiose, dai media, dalle forze armate che vede in lui la possibilità di creare un esercito che non avrà paura della morte. 

L’autore:

 

Percival Everett (1956) è un personag­gio eclettico. È quasi inimmaginabile che un uomo così schivo sia stato un chitarrista jazz, un addestratore di cavalli, un rancher, un professore di liceo. Attualmente è "distinguished professor" alla University of Southern California e le sue lezioni sono fonte di aneddoti. La scrittura è indubbia­mente l'attività che gli ha riempito di più la vita, anche perché scrive sem­pre e solo a mano sugli inseparabili quaderni ad anelli. Di libri ne ha sfor­nati quasi venticinque in venticinque anni, tra romanzi, raccolte di racconti e poesie, saggi, passando in rassegna quasi tutti i generi letterari. La chi­tarra non ha mai smesso di suonarla, è un apprezzato pittore, pratica con regolarità la pesca con la mosca.

La critica lo ha definito "uno dei più coraggiosi scrittori sperimentali degli ultimi anni" e quella vena intellettuale che pervade i suoi libri è generalmente giudicata non affetta da pomposità o dalla ricerca del difficile a tutti i costi. Da queste definizioni Everett si tiene ben lontano, così come dalle recen­sioni, e fa spallucce alle etichette che via via gli affibbiano — "scrittore po­stmoderno", "scrittore afroamerica­no" — ribadendo piuttosto che più che Joyce, Pynchon, DeLillo, a cui è stato accostato, i suoi maestri e autori sono i classici americani di grande respiro come Mark Twain e James Baldwin.

I suoi libri sono tradotti e apprezza­ti in tutto il mondo. 

 

La “quarta”:

È una realtà sconvolgente, una trasformazione radicale, impossibile, quella da cui trae inizio questo romanzo. Theodore Street, stanco di tutto e di tutti, esce di casa deciso a porre fine alla sua esistenza. Soluzione suicidio. Street ha fallito su tutti i fronti: la sua carriera universi­taria si è inceppata, il suo matrimonio a rotoli. Nemme­no l'amore per i figli e le scappatelle con le studentesse gli bastano più. E mentre a bordo della sua Lancia si sta recando al luogo prescelto per togliersi la vita, viene cen­trato da un camion. Risultato: un corpo senza testa e una testa. Decapitato.

Nel bel mezzo del suo funerale, Street, a cui la testa è stata malamente riattaccata, si risveglia; come se niente fosse esce dalla bara e, tra lo sgomento dei presenti — lì, cerimoniosi a porgere quello che pensavano fosse l'ultimo saluto —, li squadra "ad uno ad uno ricordandone la voce e ciò che di buono o di cattivo avevano detto o fatto nei suoi confronti", liberandosi così del male che aveva dentro. E dev'essere stata una purificazione singolare perché da quel momento, da morto, Theodore Street è un altro uomo.

È, però, l'inizio dell'inferno. I media strepitano, si ac­campano di fronte a casa sua, si contendono l'intervista esclusiva con il morto, anche perché un uomo così - cioè un morto redivivo — fa gola a molti: ai fondamentalisti e ai fanatici religiosi che lo credono rispettivamente un de­monio incarnato e il messia; all'esercito, smanioso di po­ter creare (e clonare) un plotone di soldati invincibili. Sì, perché Ted Street, apparentemente, non può più morire, è invulnerabile, non ha alcuna funzione vitale, eppure è lì, più uomo di prima, vivo nella sua vita a spiegare perché non è morto, a fare i conti con la crisi del suo matrimo­nio, col terrore che i figli provano nei suoi confronti e con l'inaspettata capacità di entrare nella mente e nel passato delle persone.

Everett, naturalmente, sta parlando di tutt'altro, la so­vrastruttura è implicita ma invisibile. Il messaggio invece è durissimo: quello che appare come un thriller che fa ridere dalla prima all'ultima riga è in realtà una profonda riflessio­ne sulla morte — sulla tentazione di non esistere — e sul sen­so della vita. Un attacco alla deriva del mondo occidentale contemporaneo.

 

Deserto americano di Percival Everett (American Desert, 2004)

Traduzione Marco Rossari, Nutrimenti, collana Greenwich 9, pagg. 263, euro 16,00

ISBN 978-88-95842-43-1