Con la cronometrica puntualità a cui ormai gli inglesi My dying bride ci hanno abituati, conseguono l'importante risultato del decimo album della loro carriera. Il fan si aspetterebbe qualcosa di speciale, un'uscita particolare sia per cura che per qualità. Purtroppo non è questo il caso.
For lies I sire si presenta in maniera anonima fin dalla copertina: un corpo dal volto velato riverso su un fianco, un corvo che lo scruta e una cripta che troneggia sullo sfondo. Mentre i precedenti artwork (almeno fino a The light at the end of the world) erano caratterizzati da un design semplice, quasi rudimentale, ma in grado di racchiudere tutta la personalità dei nostri, gli ultimi album sono stati confezionati in maniera più curata dal punto di vista tecnico, perdendo però parte della loro efficacia. Così, l'abbondante booklet presente in questa guitar edition di For lies I sire lascia abbastanza indifferenti, constando di una serie di immagini tipicamente gothic.
Apprezzabile l'idea di allegare un libretto aggiuntivo con le intavolature per chitarra di alcuni pezzi dell'album, insieme a un plettro con il logo della band. Purtroppo la musica proposta è poco stimolante sia dal punto di vista tecnico che quello artistico.
For lies I sire rispecchia musicalmente quanto mostrato in copertina: una serie di riff che, oltre a sapere di già sentito, manifestano una carenza espressiva intollerabile per una band con alle spalle altri nove lavori di qualità indubbia (fatta eccezione forse solo per il comunque buono A line of deathless king). In apertura My body a funeral attacca con la voce di Aaron Stainthorpe che dà fin da subito la sensazione di aver perso mordente. Il lamento raggelante che nei precedenti album riusciva a smuovere le viscere si evolve in una litania monotona e continua, che riesce ad annoiare nel giro di pochi minuti per la sua ripetitività. Poco cambia coi pezzi successi, il cui minutaggio, forse un po' meno abbondante del solito, non aiuta la digestione di questo mattone musicale. Il primo passaggio che si fa notare nel marasma ripetitivo di riff di chitarra, ombra irriconoscibile di un passato luminoso, lo si riscontra in Shadowhunt, che in conclusione riesce a dare qualche brivido grazie alla voce spettrale del frontman storico della band anglosassone. Successivamente, l'attacco di A chapter in loathing fa sperare in un ritorno alla disperata cattiveria degli inizi, ma l'iniziale fiammata viene smorzata da una cadenza doom, interrotta ripetutamente da forzati stop-and-go. Nonostante sia uno dei pezzi più riusciti, siamo ben lontani dai fasti di As the flower withers o Turn loose the swan. Un leggerissimo recupero lo si ha con la conclusiva Death Triumphant che, pur non essendo un pezzo degno di una band della loro portata, quanto meno non annoia quanto il resto del platter.
In sostanza, i My dying bride realizzano il peggior lavoro della loro carriera, mostrandosi spenti e privi di spirito. Le chitarre sembrano riciclare in malo modo le linee dei capolavori passati, mentre a poco o nulla vale la reintroduzione di un violino che avrebbe potuto dare un certo spessore, ma che a mala pena fa notare la sua presenza. D'altronde il doom è un genere che, se non viene fatto con anima, regala solo ore di sonno e tedio, e questo For lies I sire ne è la prova. Consigliato solo ai fan più accaniti. Tutti gli altri indirizzino la loro attenzione ai capolavori precedenti, dimenticandosi pure di questo pessimo decimo capitolo.
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