Anna (Emily Browning) torna a casa dopo avere passato un lungo periodo in ospedale psichiatrico dove è stata ricoverata a seguito della morte della madre in un tragico incendio. Anna scopre che l’ex infermiera della madre, Rachel (Elizabeth Banks), si è trasferita nella casa di famiglia e si è fidanzata con il padre, Steven (David Strathairn). Poco dopo aver appreso la notizia, Anna viene contattata dal fantasma della madre che la mette in guardia rispetto alle malefiche intenzioni di Rachel. Insieme alla sorella (Arielle Kebbel), Anna deve convincere il padre che la nuova fidanzata non è la persona che finge di essere; e quella che doveva essere un’allegra riunione di famiglia si trasforma in un tremendo conflitto familiare dagli esiti catastrofici.
Basato sul film Changra, Hongryon (Two sisters) dell’orientale Kim Jee-Woon del 2003, The Uninvited dei Guard Brothers si pone l’obiettivo di rivisitare la sottile barriera di contatto che separa sogno-visione e cruda realtà dei “fatti accaduti”, attraverso lo sguardo di due sorelle adolescenti. È un tema usato e anche abusato nel genere cinematografico horror, anche nelle sue declinazioni thrilleresche, basti ricordare A nightmare on Elm Street di Wes Craven (1984), oppure anche il più recente Gruesome (2006) (anche quest’ultimo opera di due fratelli, Jeff e Josh Crook, guarda un po’). Il tema del “doppio” appare quindi, e subito, come segno distintivo del film, prodotto artistico di due fratelli che tanto per cominciare ci parlano di due sorelle unite dalla tragica morte della madre malata in un incendio. Tale disgrazia condurrà una delle due, Anna, a un prolungato ricovero psichiatrico, al ritorno del quale incontrerà l’amata sorella Alex, ma contemporaneamente comincerà a essere perseguitata da strane e incomprensibili visioni: sangue che cola dalle serrature, inquietanti bambini che la accompagnano in macilenti cimiteri in disuso, il volto deforme della madre morta che la chiama con un filo di voce, e così via. Come si vede, i cavalli messi in pista dai due Guard Brothers sembrerebbero avere tutti i requisiti per vincere la corsa. Purtroppo per loro tuttavia, il percorso a ostacoli che sono costretti ad affrontare, causa il montaggio greve e diluito di Page e Wagner, nonché altre due cosette di cui diremo fra poco, i cavalli arrivano stremati al traguardo, pur avendo corso non malaccio. La corsa è infatti buona per quanto riguarda il soggetto, un po’ meno se volgiamo lo sguardo a una sceneggiatura che, accidenti, poteva anche regalarci qualche brivido in più. I dialoghi tra le due sorelle sono invece ben scritti e ben resi dal punto di vista della performance delle due giovani attrici, così come quelli tra l’infermiera-matrigna e le due. Elisabeth Banks è brava e sufficientemente antipatica nell’impersonare la new girlfriend del papà, nonché la perfetta rivale edipica da odiare con tutte le forze. Anche il padre (David Strathairn) personifica splendidamente lo scrittore di mezza età tutto centrato sulle sue velleità narcisistiche. Le locations, raffinate per non dire patinate, avrebbero peraltro potuto generare un ambiente sul quale far fiorire senso di inquietudine, mistero, vibrazioni horror anche molto perturbanti e chi più ne ha più ne metta. Invece l’ambiente rimane lì nella sua bellezza fatta di interni lussuosi (una casa sul lago davvero da sogno) e di esterni naturalisticamente perfetti (boschi, acque limpide, cieli tersi) senza contribuire più di tanto al mood generale, che si trascina invece verso un coup-de-theatre finale interessante, nel quale il tema del doppio ritorna in modo spiazzante e capovolge di netto le prospettive. Ma rimane un finale che arriva come un caldo suono di gong in un ambiente freddo e asettico, nel quale il gong risuona inutilmente perdendosi nell’aria senza lasciare tracce che si ricordino davvero. Sono presenti anche parecchie, suggestive “citazioni subliminali” nel film: c’è qualcosa che ricorda I soliti sospetti (1995) di Bryan Singer, oppure anche un sentore di David Fincher, e anche Shaymalan, forse. Il tutto però non fa presa sullo spettatore e non raggiunge mai l’esito di una vera rielaborazione delle poetiche registiche citate. La fotografia di Dan Landin avvolge il lusso campestre in cui s’aggirano le due protagoniste di una luce diurna eterea ma precisa, contrastandola però eccessivamente con luci notturne in cui le apparizioni di Anna si mostrano più frequentemente, nascondendole troppo nel buio. Colonna sonora e silenzi contrappuntano senza grossi risultati un montaggio che come si è detto toglie ritmo a sequenze che già di per sé non vogliono propriamente far tremare le vene ai polsi.
2 commenti
Aggiungi un commentoDopo quanto letto credo che eviterò saggiamente la visione di questo film pestilenziale.
Devo ancora conoscere un remake tratto da un film orientale che sia riuscito a coinvolgere, a parte un pochino The Ring e Dark Water.
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