— Consapevole?
— Di che cosa siete in realtà — dice, indicando i passeggeri putrefatti, che ogni tanto lanciano un’occhiata di ribrezzo verso di me, e sembrano non accorgersi del fantasma.
— Siamo? E io sarei…
— Esatto, guardati le mani.
Non ci avevo fatto caso prima, ma ho le mani pallide, grigiastre, con dei tagli profondi che scoprono tessuti neri. Alzo le maniche del giubbotto e della maglia, le braccia non sono in condizioni migliori.
— Be’, non hai un aspetto troppo ributtante. Ma questo non cambia la sostanza delle cose.
— E sarebbe?
— Siete solo dei morti al loro servizio — e fa un cenno indicando la sommità della mia testa.
— Non mi dire che anch’io…
Annuisce.
— Non lo senti ancora perché sei appena entrato nella fase di consapevolezza, ma tra mezz’ora avvertirai il peso e la presenza dei suoi tentacoli infilati nelle ossa del cranio.
Invece, mi sembra già di sentire quello schifo sulla testa. Passa un minuto di silenzio, il tempo di constatare freddamente la perdita del mio stato mentale e di tutta la mia precedente esistenza.
— Cosa sono?
— Chi può dirlo. Mostri, alieni, se un nome qualunque ti può far sentire meglio. Quello che abbiamo capito è che sono parassiti e hanno bisogno di succhiare la vita per esistere. Sono comparsi anni fa, prima della caccia a noi Residui. Dapprima sono apparsi nelle zone più civilizzate e ricche, in seguito i focolai si sono allargati.
— Focolai?
— Sì, ce ne sono a migliaia sparsi per tutto il mondo.
— Ma… nessuno ha fatto qualcosa? Le autorità non avvertono la popolazione?
— Le autorità sono loro — dice guardando sopra la mia testa. — Non ti spiego i dettagli scientifici, non li capiresti. Diciamo che quando ti catturano, ti succhiano tutta la vita in un colpo solo. Tu muori, neppure te ne accorgi, e loro vivono. Inoltre continuano a usare la tua carcassa. Gli torna utile per diversi motivi, uno dei quali è che possono agire indisturbati. Ogni morto ha l’illusione che tutto sia normale, che non sia successo nulla, e i parassiti possono espandersi indisturbati. E usarti.
— E loro cosa vogliono?
— Nessuno lo sa.
Silenzio. Do uno sguardo all’uomo senza viscere. Il cappello pompa, o succhia, a ritmo instancabile.
— I Residui sono coloro che sono sfuggiti al loro assalto. Sono gli unici uomini ancora in vita. I parassiti ci hanno dato la caccia fin dal primo momento. Ci ammazzano o ci deportano nelle loro prigioni di massima sicurezza.
— Perché mi hai tolto l’illusione di una vita normale e mi fai vedere questo?
— Bisogna proteggere chi è vivo.
— Ammazzando la gente normale?
— No, le persone che ho assalito erano già morte. Io ammazzo solo la cosa.
Ricordo le persone che lo spettro ha ucciso.
— Tutto quel liquido non è dell’uomo, ma del parassita. È come quando schiacci una zanzara gonfia di sangue.
— E cosa dovrei fare?
— Diventare come me.
Lo spettro accenna addirittura a un sorriso.
— Sai — continua — il tuo stato di consapevolezza sparirà nel giro di un paio d’ore. Abbiamo già provato con altri morti viventi. Quando l’effetto della pillola gialla scompare torni a essere quello di sempre, il ricordo della consapevolezza sbiadisce sotto l’effetto del “padrone” che porti in testa, con il tempo avrai la certezza di aver vissuto solo un incubo. E non serviresti a molto. Noi Residui ci stiamo organizzando. La pillola verde, che dovresti avere ancora in tasca, ti trasformerà in un fantasma. Come me.
Diventare uno spettro. L’idea non è esaltante.
— E se provassi a togliermelo dalla testa?
— L’illusione finirebbe. Moriresti, anche se lo sei già.
— E se divento… come te?
— Stessa cosa. Ma saresti libero e rimarresti consapevole. E avresti la possibilità di salvare chi è ancora vivo. La libertà rende efficaci.
Tiro fuori la pillola color muffa. La guardo perduta nella mia mano disidratata e grigia. Mi dà fastidio che uno spettro sveli e ridisegni la trama della mia vita, soprattutto quando io non l’avevo neppure intuita.
Tra un paio di ore uscirò da questo incubo. O ci rientrerò.
Il treno attraversa una vecchia galleria ed è come se affondasse in una notte senza stelle. Fuori del finestrino il buio è totale, le vibrazioni del compartimento spariscono. Non sento più le mani, le gambe. Ho la sensazione che non arriverò mai alle luci della prossima stazione o della strada che porta a casa.
E la certezza che questo non cambierà niente nella mia esistenza riempie un istante, che non vuole colare via.
9 commenti
Aggiungi un commentoOttimo racconto. Complimenti. L'ambiente metropolitano mi ha sempre inquietato, per ragioni terra terra (paura di una aggressione) e per ragioni... non so... qualcosa tipo "Ultima fermata: l'incubo" di Castelli e Sclavi.
E poi perchè la metropolitana è una metafora dell'esistenza (addirittura!):
in metropolitana ci si sente vivi, in movimento, attivi, padroni della città... ma ci si può sentire anche schiavi, passivi, costretti su percorsi obbligati, insomma, morti viventi.
Ultime annotazioni: bella l'immagine dei pezzi di carne galleggianti nel catarro, geniale la zecca/parassita gonfia come una zanzara!
Un saluto.
L'idea è bella e ben sviluppata, complimenti! Però mi sembra che l'ultima parte del racconto, quella in cui dai voce al Reietto, sia troppo "esplicativa": guidi il lettore passo passo - e forse un po' troppo lentamente - nella comprensione della verità, mentre secondo me avresti potuto dare meno spiegazioni e lasciare qualcosa al ragionamento del lettore, visto che più o meno si riesce a intuire dove la storia voglia andare a parare... Insomma, verso la fine lo stile diventa un po' troppo didascalico, a scapito della narrazione vera e propria, però nel complesso è un buon racconto, che mi ha fatto riflettere molto e che ho letto con piacere!
L'ho apprezzato per 3/4
L'ultima pagina é quella che lascia più a desiderare.
Credo che non sempre di debba spiegare per forza il perché delle cose, soprattutto in un racconto breve che non vedrà un seguito (credo).
Non mi piace il dover spiegare il male come ineluttabile conseguenza di una società corrotta, dalla quale non si può prescindere per sopravvivere.
Passare dall'altra parte per sfuggire ad un limbo e cadere in un altro? Che senso ha? Non l'ho capito.
I racconti privi di logica, che puntano all'immaturità di chi si lascia spaventare da tutto ciò che è ingenua caricatura del vero orrore, costituito dal non voler guardare il Vero della pochezza intellettuale umana, non mi trasmettono altro che noia.
Forse la dimensione del racconto era troppo esigua per il progetto, da qui l'effetto "spiegone" di una rivelazione abnorme concentrata in poche righe. Temo del resto che la partecipazione al concorso imponesse un limite di caratteri: l'autore potrebbe essere stato costretto a sacrificare certi spazi.
A parte questo ho molto apprezzato il testo, sia per temi che per linguaggio.
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