Qualcuno continua a fissarmi e dice sottovoce: “barbone”. Altri mi ignorano. Invece un signore anziano fissa un punto nel corridoio, strizza gli occhi, come se dovesse mettere a fuoco.
— Cos’è quella forma bianca? — è l’unica frase che dice.
Poi lo spettro sbuca sulla banchina e passa il vecchio da parte a parte. Nel giro di pochi secondi dissecca il corpo che, come una spugna strizzata, sventaglia fuori tutto il sangue.
In poco tempo svuota una coppia di giovani. Il cappotto brizzolato tenta una fuga, ma riesce a fare pochi metri, prima di afflosciarsi in un enorme lago rosso.
Alla fine rimangono solo i miei respiri spezzati e quattro corpi secchi, sui quali lo spettro rimane sospeso. Il volto è proprio quello del Residuo.
Sono in un angolo, senza scampo. Del liquido caldo mi scende giù per i pantaloni. Sono solo un vecchio incontinente, avevo pisciato poco prima. Mi metto a ridere per questa osservazione fuori posto. Be’, credo che i miei nervi siano colati via con il piscio.
Le pasticche. In tasca. Le tiro fuori.
È l’istinto di sopravvivenza, ormai sconfitto, che mi guida. Non sa più cosa fare e dato che non ci sono altre scelte alla morte pura e nuda, ingoio la pillola. E seguo anche le indicazioni del Residuo.
Prima quella gialla.
La deglutisco un secondo prima che lo spettro alzi il suo grido e si scagli verso di me. Chiudo gli occhi. Addio, mondo.
Ma a mezzo metro di distanza la creatura si arresta come in un fermo immagine. Riapro gli occhi, la cosa orrenda mi fissa, ma non sembra bellicosa. Si accontenta di vagare sulla piattaforma. Sembra che non abbia un cazzo da fare. Giocherella con le carcasse dei morti. Come un cane, volta e rivolta quelle cose inanimate. In qualche modo riesce a toccarle e spostarle. Dopo un po’ nasconde i miseri resti in un angolo buio.
Non so per quanto tempo rimango lì, ma deve essere molto tardi. Un barlume di speranza mi suggerisce che potrei salvarmi, forse c’è ancora tempo per un’ultima corsa. Basta che arrivi il treno. Che mi prenda e mi porti a casa, sotto le coperte del mio letto. E domani sarà un bellissimo sabato con tanto lavoro da sbrigare e maledizioni contro il capo.
Un rumore. Sui binari. È il treno che arriva.
Mi viene da piangere. Lo spettro si aggira ancora sulla banchina, ma a quanto pare ha rinunciato a farmi fuori. Forse medita di far scoppiare i passeggeri che scenderanno.
Voglio solo sparire da quest’incubo. Il convoglio rallenta, i neon dei compartimenti mandano una luce invitante. Finalmente la metro si ferma, io sono già incollato di fronte a un’entrata. Il portello scorre e mi trovo davanti un corpo in putrefazione.
In piedi, e vuole uscire. Gli sto ostacolando il passaggio.
— Scusi, mi faccia scendere — dice con una voce che è un rutto cavernoso.
La sua carne è nera, in molte zone vedo un brulicare di vermi. Il teschio è quasi del tutto esposto. Il mostro porta uno strano cappello sulla sommità della testa. Un cappello viscido, che pulsa.
Scatto all’indietro, faccio passare quella cosa che si allontana verso l’uscita. Se il cuore non mi cede ora, significa che sono destinato ad assistere all’Armageddon con un biglietto per la tribuna. Schizzo dentro il compartimento.
C’è una manciata di passeggeri dispersi sui sedili. E sono tutti come il tizio che è sceso. Vedo una donna con le mammelle flaccide e bluastre che stringe una borsetta. Un uomo senza viscere, con gli occhi che roteano come biglie, legge un giornale. Ma il dettaglio più disgustoso è il cappello che tutti portano in testa. Guardandolo meglio, capisco che non è un copricapo. È una cosa viva, sembra una specie di parassita aggrappato alla testa dei morti. Un’enorme zecca che ha arpionato la cotenna di un cane.
Mi butto su un sedile, lontano da tutti e chiudo gli occhi. Mi sforzo di reprimere il vomito. Tutto questo è solo un incubo. Non c’è nessun fantasma e nessun morto vivente che gira nella metropolitana. Molto probabilmente sono ancora in ufficio, collassato sopra un rendiconto di mille pagine di qualche società che sta per fallire.
— Non stai sognando.
È la voce del Residuo. Alzo gli occhi. Il suo spettro è di fronte a me. E mi legge addirittura nel pensiero. Ogni barlume di speranza sparisce, risucchiato in qualche lurido buco del mio corpo. Ora sono sfinito, senza energie. Nemmeno se mi concentro riesco ad avere paura. Se mi deve ammazzare, che si sbrighi, così la facciamo finita.
— Ora sei consapevole — continua.
9 commenti
Aggiungi un commentoOttimo racconto. Complimenti. L'ambiente metropolitano mi ha sempre inquietato, per ragioni terra terra (paura di una aggressione) e per ragioni... non so... qualcosa tipo "Ultima fermata: l'incubo" di Castelli e Sclavi.
E poi perchè la metropolitana è una metafora dell'esistenza (addirittura!):
in metropolitana ci si sente vivi, in movimento, attivi, padroni della città... ma ci si può sentire anche schiavi, passivi, costretti su percorsi obbligati, insomma, morti viventi.
Ultime annotazioni: bella l'immagine dei pezzi di carne galleggianti nel catarro, geniale la zecca/parassita gonfia come una zanzara!
Un saluto.
L'idea è bella e ben sviluppata, complimenti! Però mi sembra che l'ultima parte del racconto, quella in cui dai voce al Reietto, sia troppo "esplicativa": guidi il lettore passo passo - e forse un po' troppo lentamente - nella comprensione della verità, mentre secondo me avresti potuto dare meno spiegazioni e lasciare qualcosa al ragionamento del lettore, visto che più o meno si riesce a intuire dove la storia voglia andare a parare... Insomma, verso la fine lo stile diventa un po' troppo didascalico, a scapito della narrazione vera e propria, però nel complesso è un buon racconto, che mi ha fatto riflettere molto e che ho letto con piacere!
L'ho apprezzato per 3/4
L'ultima pagina é quella che lascia più a desiderare.
Credo che non sempre di debba spiegare per forza il perché delle cose, soprattutto in un racconto breve che non vedrà un seguito (credo).
Non mi piace il dover spiegare il male come ineluttabile conseguenza di una società corrotta, dalla quale non si può prescindere per sopravvivere.
Passare dall'altra parte per sfuggire ad un limbo e cadere in un altro? Che senso ha? Non l'ho capito.
I racconti privi di logica, che puntano all'immaturità di chi si lascia spaventare da tutto ciò che è ingenua caricatura del vero orrore, costituito dal non voler guardare il Vero della pochezza intellettuale umana, non mi trasmettono altro che noia.
Forse la dimensione del racconto era troppo esigua per il progetto, da qui l'effetto "spiegone" di una rivelazione abnorme concentrata in poche righe. Temo del resto che la partecipazione al concorso imponesse un limite di caratteri: l'autore potrebbe essere stato costretto a sacrificare certi spazi.
A parte questo ho molto apprezzato il testo, sia per temi che per linguaggio.
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