Ultima metro
Il tabaccaio della metro è chiuso e blindato. Non mi posso permettere neppure il rito della sigaretta serale. L’unico privilegio che mi resta è quello di trovare un cesso e pisciare, immaginando che la tazza sia la faccia del mio capoufficio. Guardo l’indicazione per i bagni, punta verso una galleria laterale poco illuminata. È da anni che passo per questa stazione e non ho mai usato le toilette. Mi avventuro nel budello di graffiti e dei soliti manifesti contro i Residui. Supero un paio di curve buie e un incrocio con un altro passaggio.
Il bagno è una scatola rotta di ceramica e merda. Sul soffitto ci sono due neon, lampeggiano a intervalli irregolari. Sul muro altri due, svitati a un’estremità, sono crollati contro i lavandini.
Mi dirigo verso il box all’angolo e mi abbandono al mio piacere, con le mani contro il muro, che puntellano il peso del corpo.
Ho appena finito dello straordinario che il capo ha già scordato, ho lavoro extra per il fine settimana. Fuori fa freddo, ho mal di testa e la tazza è sporca di vomito. Ecco il succo di questo venerdì.
L’ufficio non mi ha mai risputato così tardi: ho perso la corsa delle ventitré e ora i treni passano più di rado. La prossima ci dovrebbe essere fra circa venti minuti. Speriamo che giunga in tempo, non vorrei che qualcuno avesse la possibilità d’infilarmi una lama in gola.
Un rumore basso si ficca fra l’aria dei ventilatori e le scariche elettriche del neon. Tendo l’orecchio, è una specie di respiro spezzato, ma posso sbagliarmi. Esco dal box e vado a lavarmi le mani sotto un rubinetto che sputa acqua gialla. L’asciugatore al muro funziona. Be’, più o meno. Il getto d’aria dura cinque secondi, dopodiché l’aggeggio si spegne con un singhiozzo.
Nello stesso momento il rumore sale di nuovo. Ne sono certo, viene da uno dei box chiusi. Rimango immobile in mezzo alla stanza. Mi pare di sentire delle parole.
— Aiuto.
Potrebbe essere un drogato. La cosa migliore sarebbe andare immediatamente alla banchina e aspettare la metro.
— Qualcuno mi aiuti! C’è nessuno?
La voce pare quella di uno che ha le budella di fuori. Al diavolo, lo so che me ne pentirò. Mi dirigo verso il lamento. Apro la porta e dietro ci trovo un cumulo di stracci seduto sulla tazza. Puzza peggio dell’ambiente intorno. Un secondo dopo distinguo un viso ispido e due occhi come spilli, che luccicano sotto un berretto rappezzato. Gli cola della bava e il viso ha il colore della porcellana. Su una guancia c’è un marchio impresso a fuoco. È un Residuo, e per giunta evaso dalle prigioni di massima sicurezza.
Non li avevo mai incontrati prima; ma tutti i manifesti, le inchieste e gli spot televisivi che ho imparato a digerire negli anni attivano la paura. Il cuore comincia a starmi stretto dietro le costole. Però il tizio sembra solo lo spurgo di una fogna.
— Ehi, che cosa ti succede? — chiedo.
— Per me è finita!
— Che cosa?
L’uomo tossisce e spara fuori dalla bocca un getto di sangue che macchia le piastrelle. Vedo galleggiare dei pezzi di carne nel catarro. Poi si alza ed esce dal box. Allunga un braccio verso di me. Nella mano tiene due pasticche, una gialla e l’altra color muffa.
— Prima la gialla! — urla.
Devo scappare, ma non riesco a muovermi.
— Cosa c’è? Hai paura? — m’incalza con un vigore inaspettato.
— Tu sei un…
— Un Residuo, sì.
Devo trovare un poliziotto, avvertire qualcuno. Non voglio che questo sia il mio ultimo giorno da vivo.
— Un folle che vive nell’ombra e ammazza senza motivo, per il gusto di farlo — continua e poi mi guarda, con ribrezzo. — Così ti insegnano, giusto?
Si piega all’improvviso su se stesso, gridando dal dolore. Con troppi secondi di ritardo mi muovo verso la porta. L’uomo mi sorprende e con uno scatto mi supera e blocca l’uscita. Arriva una zaffata di merda e puzza di carne sfatta. Mi punta la pasticca come se fosse un coltello.
— Fatti ‘sta roba. È l’unica possibilità che hai! Ricordati, prima la gialla.
La voce scricchiola su ogni parola, poi i suoi occhi diventano calmi. Mi passa accanto e mi mette le pillole in tasca. Si allontana in un angolo. Sono un manichino in balia degli eventi, anche un bambino mi potrebbe prendere a calci in culo, ora. Il ruggito di quella carcassa mi risveglia.
— Sparisci! Altrimenti ti ammazzo!
Non me lo faccio ripetere due volte. Esco dal bagno e mi accorgo di avere il fiatone. Ci vuole ancora del tempo prima che passi la mia corsa, e non posso rischiare che questo pazzo mi venga a cercare per farmi la pelle.
9 commenti
Aggiungi un commentoOttimo racconto. Complimenti. L'ambiente metropolitano mi ha sempre inquietato, per ragioni terra terra (paura di una aggressione) e per ragioni... non so... qualcosa tipo "Ultima fermata: l'incubo" di Castelli e Sclavi.
E poi perchè la metropolitana è una metafora dell'esistenza (addirittura!):
in metropolitana ci si sente vivi, in movimento, attivi, padroni della città... ma ci si può sentire anche schiavi, passivi, costretti su percorsi obbligati, insomma, morti viventi.
Ultime annotazioni: bella l'immagine dei pezzi di carne galleggianti nel catarro, geniale la zecca/parassita gonfia come una zanzara!
Un saluto.
L'idea è bella e ben sviluppata, complimenti! Però mi sembra che l'ultima parte del racconto, quella in cui dai voce al Reietto, sia troppo "esplicativa": guidi il lettore passo passo - e forse un po' troppo lentamente - nella comprensione della verità, mentre secondo me avresti potuto dare meno spiegazioni e lasciare qualcosa al ragionamento del lettore, visto che più o meno si riesce a intuire dove la storia voglia andare a parare... Insomma, verso la fine lo stile diventa un po' troppo didascalico, a scapito della narrazione vera e propria, però nel complesso è un buon racconto, che mi ha fatto riflettere molto e che ho letto con piacere!
L'ho apprezzato per 3/4
L'ultima pagina é quella che lascia più a desiderare.
Credo che non sempre di debba spiegare per forza il perché delle cose, soprattutto in un racconto breve che non vedrà un seguito (credo).
Non mi piace il dover spiegare il male come ineluttabile conseguenza di una società corrotta, dalla quale non si può prescindere per sopravvivere.
Passare dall'altra parte per sfuggire ad un limbo e cadere in un altro? Che senso ha? Non l'ho capito.
I racconti privi di logica, che puntano all'immaturità di chi si lascia spaventare da tutto ciò che è ingenua caricatura del vero orrore, costituito dal non voler guardare il Vero della pochezza intellettuale umana, non mi trasmettono altro che noia.
Forse la dimensione del racconto era troppo esigua per il progetto, da qui l'effetto "spiegone" di una rivelazione abnorme concentrata in poche righe. Temo del resto che la partecipazione al concorso imponesse un limite di caratteri: l'autore potrebbe essere stato costretto a sacrificare certi spazi.
A parte questo ho molto apprezzato il testo, sia per temi che per linguaggio.
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