Un gruppo di giovani rapinatori approfittano delle rivolte delle banlieus parigine per tentare una rapina in banca. Il colpo però va malissimo e i rapinatori, inseguiti dalla polizia, sono costretti alla fuga e a dividersi. Alcuni di loro trovano rifugio in una losca e isolata locanda di proprietà di alcuni contadini locali, nei pressi della frontiera con il Belgio. Le cose si metteranno assai male quando i rapinatori si accorgeranno che i proprietari del loro rifugio sono assai più pericolosi dei poliziotti che danno loro la caccia: si tratta infatti di una famiglia di folli neo-nazisti con una spiccata propensione per la tortura e il cannibalismo…

Credo che Frontiers. Ai confini dell’Inferno meriti di entrare negli annali della cinematografia horror, ma direi della storia del Cinema in generale, anche perché, dopo questo capolavoro franco-svizzero, credo sia ora di finirla di confinare il genere in una nicchia, in una specie di club per collezionisti di feticci sui generis, come se non fosse solo e semplicemente ‘cinema’. Frontiere, appunto, nicchie, confini della cinematografia che il film di Xavier Gens deliberatamente si pone l’obiettivo di rompere in modo violento e corrosivo, trasmettendo un messaggio chiaro e tondo al mondo del cinema (forse in particolare a quello statunitense), e non solo agli attoniti spettatori. Attoniti perché Gens dilata i canoni del genere horror a tal punto da superare le “normali aspettative” di un’amante di questo filone. Lo spettatore si sente come trasportato in un universo parallelo, in un’altra dimensione, allestita in modo preciso e certosino, facendo un uso sempre sapiente della fotografia, delle luci, del suono e delle musiche, del ritmo narrativo, nonché dello stile recitativo degli attori. La fotografia di Laurent Bares avvolge l’occhio come un velluto seduttivo e non lo lascia andare fino alla fine, costringendolo però a guardare in questo universo parallelo e inquietante in cui il regista ci proietta senza chiederci il permesso. E si tratta nientemeno della dimensione quasi-irrapresentabile della disumanità insita nell’umano. Non a caso infatti Gens fa ricorso a figure storiche definite come il “nazismo”, obbligandoci paradossalmente anche a un esercizio etico e di memoria di ciò che siamo, delle origini disumane e maligne dell’Europa. Non sono per niente d’accordo, infatti, con quei recensori che trovano collegamenti di varia natura tra questo film e altri come Hostel o la serie di Saw. Solo una lettura banalizzante e superficiale può consentire un tale accostamento. Frontiers possiede una profondità epica tutta particolare, imparagonabile a qualsiasi altro film horror che abbia potuto vedere finora. E la scelta coraggiosa e senza mezzi termini di Gens, di produrre un film senza alcuna censura rispetto alla violenza spaventosa e alla repellenza delle scene, non fa che aumentare il suo talento e la sua maestria. Forse solo il Tobe Hooper di Texas Chainsaw Massacre (1974) e la sua capacità rivoluzionaria di farci toccare con mano la tragicità dolente e terrorizzante della ben nota famiglia di Leatherface, possono essere indicati come eventuali elementi ispiratori. Ma anche in questo caso si tratta solo di un rimando, di uno spunto, sul quale poi Gens produce invenzioni del tutto personali, che raggiungono livelli di raffinata poesia visiva horror-splatter (basti pensare solo a una delle scene iniziali in cui la vecchia nonna della famigliola cannibale viene “amorevolmente” imboccata; segue subito inquadratura della gola della nonna, dalla cui tracheotomia fuoriesce un vomitevole roseo liquame). “Frontiers” è un film da vedere proprio perché spaventa, inchioda alla poltrona ed espone a qualcosa di eccessivo che è dentro di noi, dentro la nostra umanità di spettatori. Se non volete guardarvi allo specchio, e sentirvi per questo spiazzati e sconvolti dalla vostra immagine, state a casa a leggere un buon libro. In caso contrario Frontiers vi aspetta sul confine.