E’ uscito in edicola per Il Giallo Mondadori presenta l’ultimo romanzo della nostrana Barbara Baraldi: La bambola di cristallo, un giallo dalle tinte gotiche ambientato a Bologna. All’interno di una costruzione limata in ogni minimo dettaglio, si muovono numerosi personaggi, soprattutto donne: ognuna di loro potrebbe avere le caratteristiche per essere la feroce e bellissima assassina di cui l’ispettore Marconi sta seguendo le tracce. Ma il volume prosegue con due racconti: Il giardino dei bambini perduti: storia cupa e ricca di suspense su un Mostro che fa sparire i bambini nel nulla e Soave, un poliziesco all’italiana.
Horror Magazine, che pochi giorni fa ha recensito il libro (www.horrormagazine.it/libri/3319), ha avuto l’opportunità di intervistare l’autrice. Vediamo dunque di scoprire quali sono alcuni aspetti che si celano dietro la sua scrittura.
Ciao Barbara, benvenuta su Horror Magazine. E’ davvero un piacere ospitarti sulle nostre pagine. Sei stata definita come “una delle narratrici di punta del nuovo thriller gotico italiano” e la bambola di cristallo è infarcita di scene decisamente violente. Dove risiede, secondo te, la differenza fra la definizione di ‘thriller’ e quella di ‘horror’?
Le definizioni sono spesso troppo strette per riuscire a descrivere un’opera, eppure sono uno strumento formidabile per i librai, che altrimenti non saprebbero dove collocare i libri. Le mie storie sono intrise di elementi thriller: c’è la tensione, l’aspettativa, ma anche horror. L’orrore del quotidiano, la mostruosità della normalità, l’abisso dell’inquietudine che quando si spalanca genera i mostri della violenza. Che è rappresentata nella sua seducente efferatezza.
Il gotico, il fetish, e tutti gli aspetti legati a questi mondi si ritrovano nei tuoi testi attraverso locali, rapporti fra le persone, musica o semplicemente ‘atmosfere’. Tu sei anche fotografa e modella all’interno dell’ambiente alternativo. Quanto di ciò che incontri o catturi con l’obiettivo confluisce nei tuoi romanzi e racconti?
Costruendo le scene procedo a visioni, come se potessi seguire l’azione da un punto di vista privilegiato. Il mio immaginario si nutre di set fotografici, di obiettivi che catturano istanti irripetibili, di luci artificiali che disegnano forme sinuose sopra un vestito lucido. Tutte queste suggestioni finiscono rielaborate nelle mie narrazioni.
Il tuo ultimo libro, La bambola di cristallo, a partire dal titolo, è una testimonianza del tuo amore, appunto, per le bambole. So che addirittura ne collezioni di gotiche. Com’è nata questa passione? Quante ne hai e, soprattutto, con quale criterio le scegli?
Il mio amore per le bambole risale all’infanzia. Se mi regalavano le barbie le modificavo cucendo loro vestiti in pizzo e accessori. Immancabilmente finivano per avere unghie e labbra dipinte con il pennarello nero. In seguito ho cominciato la mia collezione personale: grazie a internet ho scoperto un universo intero di bambole gotiche. Serie limitate, con abiti curati nei minimi dettagli, fino agli accessori personalizzabili. Le mie non le ho mai contate, sono sparse in alcune vetrinette in giro per casa, alcune mi sono state regalate dai miei lettori. Io le scelgo a istinto, guardandole negli occhi.
La bambola è un oggetto di indubbio fascino presente in molte pellicole e testi dell’orrore. Molti di noi hanno ricordi legati all’infanzia di vecchie bambole delle nonne posizionate sopra o dentro armadi, su cassapanche o vecchie poltrone; bambole che, all’epoca, ci sono parse talvolta terrificanti. E a ben ripensarci, c’inquietano ancora un po’. Un personaggio del tuo romanzo ne ricorda con: “gli occhi sbarrati, dai contorni neri. Le labbra rosate attraverso cui si intravedevano i piccoli denti lucenti. Il piccolo collo distanziato da un taglio profondo dal resto del corpo, in modo che la testa sembrasse appena appoggiata. Pareva dover cadere da un momento all’altro”. Se dovessimo addentrarci nelle cause psicologiche che scatenano particolari reazioni o fobie di fronte a determinati oggetti potremmo parlare per ore, ma in riferimento alla tua infanzia, puoi raccontarci un episodio, un ricordo, un’immagine ricollegabile a questo cliché?
L’antica bambola di mia nonna occupava una posizione privilegiata: seduta sul letto matrimoniale nella camera degli ospiti. Ricordo un pomeriggio in particolare: avevo pranzato da lei e mi avevano messa a letto proprio in quella che per me era la “sua” stanza, il suo regno incontrastato. Mi faceva veramente paura, la classica bambola di porcellana con capelli veri e occhi reclinabili. Mostrava i denti bianchi e un sorriso indecifrabile. Mia nonna la sistemò nella poltrona di fronte a me e mi lasciarono da sola con lei pretendendo che mi addormentassi. Nella penombra di quella stanza sconosciuta aprivo gli occhi di continuo per controllare che fosse sempre nella stessa posizione. Ero bloccata dalla paura anche perché pensavo che se avessi chiamato qualcuno in mio aiuto la bambola si sarebbe di certo arrabbiata.
I ricordi infantili sono alla base dell’intreccio sia del romanzo sia del racconto lungo. Ma non solo i traumi relativi alla vita dei personaggi e che li spingono ad agire o a non agire in un certo modo. Ce ne sono anche di meno evidenti e ‘colorati’ come vecchie pubblicità, cartoni animati, giocattoli, filastrocche e via dicendo. Saltano fuori a volte come simboli freudiani, un po’ come le righe sulla tovaglia di Io ti salverò. Queste sono architetture davvero complesse. Costruisci a tavolino la psicologia dei vari personaggi o hai intuizioni improvvise?
Gran parte di queste immagini si materializzano a partire da intuizioni improvvise. La storia naturalmente è già dentro di me, ma man mano che scrivo la psicologia dei personaggi emerge e saltano fuori veri e propri “ricordi” di cui il personaggio si appropria diventando via via più reale. Le mie “bambole di cellulosa” sono un po’ come i replicanti di Blade Runner. Per sentirsi veri hanno bisogno di un bagaglio di passato. L’infanzia è un pozzo infinito da cui attingere perché è da lì che tutto ha inizio.
Hai vinto per due anni consecutivi il premio speciale Mario Casacci (al racconto che meglio si presta a una riduzione cinematografica e/o televisiva) all’interno del prestigioso Orme Gialle. E il titolo del romanzo è già un indizio. Quanto ti ha influenzata il cinema giallo e horror italiano dell’epoca aurea?
Il cinema italiano di genere degli anni ’70, in tutte le sue molteplici incarnazioni, è per me fonte di grande ispirazione e suggestione. Forse per la voglia di sperimentare sia nelle trame quanto nelle psicologie dei personaggi. Viaggi spesso onirici all’interno delle psicosi o della pazzia, ma anche nei desideri e nella sfera erotica. Certi capolavori di quel periodo mi sono rimasti dentro e ogni tanto sento il bisogno di riguardarli per immergermi in atmosfere al giorno d’oggi dimenticate, o peggio sacrificate sull’altare dei grandi incassi e dei presunti gusti di una massa abituata al politicamente corretto.
Ho letto l’ultimo racconto incriminato (n.d.r.: La sindrome felicità repulsiva, in: Anonima Assassini II - I delitti di Orme Gialle - Tagete Edizioni - 2008). Il titolo si riferisce a un’idea tanto bizzarra quanto veritiera, ovvero al fatto che un individuo su tre non riesce a godersi la bramata felicità raggiunta per volontà propria. La storia, poi, si dimostra una sorta di versione alternativa della Bella e la Bestia (o - perché no? - del Fantasma dell’Opera che tu stessa citi). Anche qui potremmo restare a parlare ore sul perché restiamo affascinati dal ‘brutto’, l’orrido, il cattivo o, semplicemente, il rinnegato dalla società, ma ci sono icone horror dalle quali ti faresti raggirare?
Impossibile rimanere impassibili di fronte al fascino decadente del Dracula di Francis F. Coppola. Fin da piccola ho un’adorazione particolare per il mostro di Frankenstein che considero un emblema di romanticismo, un incompreso spaventato e mosso dal desiderio di essere amato. Sul finale mi sono sempre commossa! Un altro personaggio che mi attrae e spaventa al tempo stesso è Freddy Krueger, perché si muove nell’universo dei sogni a me affine: in tutti i miei romanzi le suggestioni oniriche sono predominanti e più di una volta ho temuto di non potermi più svegliare da un incubo. Per finire una nota agrodolce: l’abominevole Dr.Phibes.
Una delle mie fissazioni è l’ambientazione italiana all’interno della narrativa di genere. E’ bello vedere che non solo Mike e Steve possono scorazzare per le strade di San Francisco, ma anche la nostra penisola offre suggestioni ricche e interessanti per thriller, horror o fantascienza. Però, la tua Bologna sembra a tratti la Londra di Dickens o un’inquadratura di Proyas. Dove risiedono le tue radici gotiche estere? Cinematografiche, letterarie, musicali, etc.
Le inquadrature di Proyas attraverso Dark city o per la città in cui vaga l’anima inquieta del Corvo, Gotham city di Burton così come il regno oltre il cancello di Edward mani di forbice. Città dove vorrei perdermi e ritrovare i protagonisti delle mie fiabe noir. Così come La città dei bambini perduti di Jeunet e Caro, che ho in qualche modo voluto omaggiare nel titolo di una delle mie novelle. Le suggestioni gotiche musicali entrano nei miei romanzi attraverso le note dei primi Cure, dei Bauhaus di Bela Lugosi is dead, il primo disco dei Christian Death e le prime opere dei Nine inch nails. Una fiaba dark a cui sono molto legata è Coraline di Neil Gaiman, anche se le mie radici sono saldamente ancorate ai racconti di E. A. Poe e Lovecraft. Parlando di cinema, musica e letteratura potrei non finire più, è sicuramente meglio che mi interrompa prima di diventare logorroica!
Tu sei molto abile nella caratterizzazione dei personaggi. Poche pennellate qua e là, qualche accenno al carattere. Ma più che i ricordi, a dipingerli, sono i dialoghi: il loro modo di parlare, di reagire, d’imporsi o di non imporsi affatto. Anche questo è di matrice cinematografica, in un certo senso. Molti autori scrivono immaginando la loro storia come un film. Ti è mai capitato di ispirarti a ‘facce famose’ per rendere una caratterizzazione più realistica?
Il più delle volte il personaggio si delinea nella mia mente mentre scrivo. Quindi il procedimento avviene al contrario: dalla scrittura emergono progressivamente i tratti dei personaggi. Visi sconosciuti si materializzano davanti a me al punto che mi chiedo, arrivata alla fine della stesura, se da qualche parte nell’universo esistano veramente. E’ successo raramente di prendere in prestito il volto dal protagonista di un film e sta accadendo proprio ora per il nuovo romanzo a cui sto lavorando. Credo avremo modo di riparlarne.
Gli animali svolgono ruoli se non determinanti, perlomeno di silenziosi testimoni. Si dice che i gatti siano sempre stati d’aiuto oltre che alle streghe anche per l’ispirazione di poeti e narratori. Lo credi anche tu?
Assolutamente sì. Il gatto è una creatura misteriosa che ricorre spesso nelle mie narrazioni. E’ stato venerato in molte culture, dall’antico Egitto fino ai giorni nostri. Quello nero è stato addirittura perseguitato insieme alle streghe. Dalle mie parti la tradizione popolare dice che i gatti possono vedere le anime dei defunti e non capita di rado vederne uno fissare un punto indefinito sopra la testata del letto.
Ma, nonostante gli uomini cerchino d’imporsi con maggiore o minore violenza, in queste storie prevale la presenza femminile o, se non altro, la simpatia/empatia rispetto al loro punto di vista. E donne sono anche le protagoniste del tuo precedente romanzo (n.d.r.: La collezionista di sogni infranti - Alberto Perdisa Editore - 2007). Vuoi parlarne ai nostri lettori?
Le protagoniste dei miei romanzi colpiscono per la loro umanità, la loro fragilità ma anche la loro forza. La collezionista di sogni infranti mette in scena lo scontro psicologico tra due personalità diametralmente opposte: Amelia, anima romantica e persona estremamente sincera, vive un’esistenza dominata dalla paura mentre Marina, insoddisfatta della sua vita e della propria identità, cerca una fuga dal quotidiano indossando maschere nella multiforme rete globale. Nel contesto si inserisce una forte figura maschile, che porta lo scontro a un punto di rottura.
Dopo il salto dal presente al passato, ti va di guardare al il futuro e di raccontarci i progetti nel cassetto?
Ci sono alcune antologie a cui ho avuto l’onore di partecipare, tra cui un progetto curato da Danilo Arona incentrato sulla misteriosa figura di Melissa delle “Cronache di Bassavilla”. E per chi ha amato “La bambola dagli occhi di cristallo” posso dire che non è finita qui.
Grazie Barbara, è stato davvero un piacere chiacchierare con te. In bocca al lupo dunque per i tuoi prossimi progetti e tienici aggiornati!
Crepi il lupo, il piacere è stato mio. Grazie a te per gli approfondimenti che hai saputo far emergere.
Barbara Baraldi, fotografa e modella nell’ambiente alternativo, esordisce come scrittrice col romanzo La ragazza dalle ali di serpente, pubblicato per Zoe nel marzo 2007 con lo pseudonimo di Luna Lanzoni. Vincitrice di tre premi letterari di genere, il Mario Casacci per il miglior racconto adattabile all’immagine filmica per due anni consecutivi (2006 e 2007) e il prestigioso Gran Giallo Città di Cattolica, ha pubblicato Dorothy non vuole morire nell’antologia Anonima Assassini: I delitti di Orme Gialle (Tagete) e Una storia da rubare ne Il Giallo Mondadori Presenta n.1. Il racconto Attrazione Letale è uscito nell’antologia Gli Occhi dell’Hydra (Domino).
La novella noir La collezionista di sogni infranti, è uscita a novembre 2007 nella collana Babele Suite curata da Luigi Bernardi per i tipi di Perdisa.
Il 24 maggio 2008 è uscita La Bambola di Cristallo, che raccoglie due romanzi inediti e un racconto nel periodico Il Giallo Mondadori Presenta n.9.
Il suo indirizzo MySpace è: www.myspace.com/occhidicristallo
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