La solitudine di un camerino. Marc Stevens, cantante girovago, si sta truccando per entrare in scena. Il suo show non sarà quello di una grande star, il palco non sarà quello serale di un pub, il suo pubblico non sarà composto da giovani pronti a scatenarsi al sound della delle sue mediocri canzoni d'amore. Spettatrici della sua esibizione, le nuvole malinconiche di un'uggiosa mattina d'inverno faranno capolino dall'esterno degli spessi vetri di un ospizio per anziani. Il solo esito del suo spettacolo sarà quello di aver portato un bagliore di giovinezza alla geriatrica solitudine del luogo, una rinfrescata ai lontani miraggi di passioni già vissute e destinate a rimanere solo ricordi. Da questo luogo sconsolato, Marc Stevens, cantante girovago, parte verso il sud alla ricerca di qualche produttore che sappia apprezzare il suo talento.
Il suo viaggio però si interromperà presto. Le scure nubi del mattino non tarderanno molto a dimostrare la loro incontinenza, facendo impantanare il furgone sgangherato dell'artista nei sentieri fangosi coraggiosamente intrapresi. Nei pressi si situa solo l'albergo, dimenticato da Dio e dagli uomini (o meglio dalle donne), gestito da un curioso omino recante il nome di Bartel.
Costui prova subito simpatia per Marc, essendo stato anche lui, ai tempi, un ottimo artista, un umorista per la precisione. Lasciato dalla moglie, una cantante, l'umorismo ha abbandonato l'animo del buon Bartel, facendo cadere in rovina l'albergo e il suo proprietario nella depressione più cupa. Non sarà passato molto tempo dall'arrivo di Marc Stevens, quando i ricordi di Bartel, catalizzati dalle pulsioni libidinose represse nel suo inconscio, cominceranno a confondersi con la realtà. Marc Stevens improvvisamente si vedrà trasformato in Gloria, ultima donna ad aver mai visitato quel paese sperduto, nonché ex-compagnia dell'albergatore. La notizia del ritorno della cantante non tarda molto a bussare alle porte del villaggio, costringendo Marc ad affrontare un'intera orda di vetusti individui, accecati da passioni prima sepolte sotto cumuli di polvere e adesso pronte ad esplodere.
Primo splendido lungometraggio per Fabrice Du Welz, giovane cineasta belga che si presenta al mondo veramente in grande stile. Il calvario che viene raccontato è una vicenda che a grandi linee si può ricondurre a grandi classici del passato, con dei passaggi che possono essere considerati veri e propri tributi. Tuttavia il film di Du Welz presenta delle peculiarità che lo rendono unico nel suo genere.
Nonostante lo schema di base, che vede fermarsi un automezzo in un luogo sperduto e il suo conducente incontrare una fauna di individui fuori dai limiti della sanità mentale, sia una pietanza che il cinefilo ha già assaporato in una varietà infinita di salse, il film di Du Welz dimostra come partendo da ingredienti tanto comuni si possano conseguire risultati da grandi chef. L'aspetto su cui si concentra il regista è la frustrazione sessuale cui può portare la solitudine.
Su questo aspetto si calca la mano fin dalla scena di esordio, in cui viene subito mostrato come negli anziani dell'ospizio l'età e la solitudine abbiano solo riposto in un segreto cassetto le lontane voglie giovanili, le quali non sono state né eliminate né dimenticate. Questa scena rende anche un altro effetto nel contesto del film. Tramite questo passaggio lo spettatore viene dantescamente ammonito su come tutto quello che vedrà da lì in poi nella realtà esiste. L'emarginazione e l'isolamento sono condizioni che non riguardano solo gli anziani, ma tutte quelle persone la cui esistenza viene dimenticata o, più spesso, deliberatamente ignorata. Il calvario non è quindi solo quello di Marc, vittima delle conseguenze che l'assenza di affetti ha provocato in Bartel e negli altri abitanti del villaggio, ma è anche (forse a maggior ragione) quello che i reietti hanno dovuto sopportare per i lunghi anni precedenti.
Lo ying e lo yang della cultura orientale ci insegnano che le energie sono sempre in movimento e che ogni modificazione dell'universo non può che avere ripercussioni sull'intero sistema. Entra qui in gioco l'altra faccia della medaglia, rappresentata dalla terribile esperienza di cui è protagonista Marc Stevens. Al cantante, inconsapevole Virgilio della situazione, capitano fin da subito incontri con i personaggi più bizzarri. Meritano una citazione Boris, un giovane un po' ritardato che vaga per cattedralici meandri della foresta alla disperata ricerca del suo cagnolino, e un gruppo di contadini sorpreso nel bel mezzo di manifestazioni zoofile. Entrambe queste manifestazioni di deviazione emozionale (e non solo), unite alla non meno atipica cordialità di Bartel, suscitano un'inquietudine profonda nello spettatore, facendo da premessa a tutto ciò che gradatamente verrà somministrato con sapienza magistrale.
Lentamente la situazione di Marc si evolve, e piano piano il giovane protagonista si accorgerà che, dietro la seppur strana simpatia dell'albergatore, si cela una spirale di pericolo da cui gli sarà impossibile uscire indenne.
Tutto questo viene unito a una qualità tecnica invidiabile. La fotografia torbida vede prevalere tonalità del rosso e del verde nelle scene di interni, che però si raffreddano sensibilmente quando l'azione si sposta nella foresta, labirinto tanto opprimente e insidioso da risultare quasi claustrofobico nella sua magnificenza.
La regia è sempre precisa e pulita, riuscendo persino, in certi passaggi, a raggiungere picchi di inaspettato valore, ed esitando in scene da antologia cinematografica (come quella del “ballo” al bar del paese). Allo stesso modo le inquadrature mostrano una qualità costante per tutti i 90 minuti, riuscendo a essere in certi punti quasi geniali e conferendo a tutta l'opera una poeticità sorprendente.
Senza attori degni del calibro del film, molto di tutto questo sarebbe andato perso. Invece, pur non essendoci alcun nome altisonante all'interno del cast, ogni singolo attore riesce ad esprimere al meglio la psicologia del proprio personaggio. Inutile dire che la medaglia al valore in questo senso va attribuita a Jackie Berroyer, il quale, nella sua interpretazione di Bartel, riesce a trasmettere tutta la complessità psicologica di un personaggio dilaniato dai ricordi passati e dalla privazione di qualsiasi aspettativa o per il futuro. L'arrivo di Marc al villaggio fa emergere in lui la speranza di una nuova vita che in breve spazza via la sua triste realtà come fosse polvere.
Ma la cura con cui è stato scelto il cast non si è limitata solo alle parti principali, tra cui una nota di merito va assegnata a Laurent Lucas (il protagonista Marc Stevens). Persino le parti minori, come il brevissimo ruolo interpretato da Gigi Coursigny (Madame Langhoff), riescono sempre a trasmettere in pochi secondi la complessità più intima di ogni personaggio.
A conti fatti Calvaire risulta un ottimo film horror, girato con passione, dedizione, bravura e intelligenza, mentre Du Welz si è dimostrato essere una delle nuove leve meritevole di attenzione. Da non perdere per qualsiasi appassionato di cinema.
Valutazione tecnica
La qualità video è ottima. Unica nota negativa è il doppiaggio in italiano che fa perdere molto rispetto al parlato originale in francese, di gran lunga preferibile grazie anche alla presenza dei sottotitoli. Purtroppo l'audio in 5.1 è disponibile solo per la versione doppiata, mentre chi vuole godersi il film nella lingua di origine dovà accontentarsi del 2.0.
Extra
Ai contenuti extra, l'edizione della Gargoyle dedica una discreta attenzione, soprattutto se si considera il pubblico ristretto che il film attrae, almeno in Italia. Il piatto forte consiste nell'esaustivo Making of, in cui verrano svelati tutti i segreti della realizzazione della pellicola. Il resto si limita ai trailers, alla galeria fotografica e ai crediti. Il risultato è comunque soddisfacente.
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