All'apice della sua soddisfacente carriera, Keiko Kirishima, una giovane e avvenente detective, decide di farsi trasferire, passando dal lavoro dietro la scrivania alle investigazioni sul campo. Per Keiko, avvezza alla tranquillità della vita d'ufficio, l'impatto con la scena del crimine sarà tutt'altro che piacevole. Nel primo caso che le viene affidato, la giovane dovrà indagare su due suicidi avvenuti in condizioni misteriose. In entrambi i casi, le vittime sembrano essere state uccise in sogno e, sui loro cellulari, l'ultima chiamata era stata effettuata digitando il numero 0. Data la situazione, Keiko e suoi colleghi si vedono costretti a chiedere l'aiuto del Nightmare detective, un ragazzo affetto da forte depressione e con tendenze suicide, dotato però del dono di poter entrare nei sogni altrui.
Con Nightmare detective, Shinya Tsukamoto manifesta la sua decisione di dare inizio a una nuova serie di film, concludendo quella che dallo stesso regista è chiamata “serie di Tetsuo”, iniziata diciassette anni fa con l'omonimo film. A detta del cineasta Nightmare detective rappresenterebbe il punto di connessione tra i due filoni, elemento indispensabile affinché si possa chiudere un capitolo e gettare le premesse per quello nuovo. In quest'ottica, per l'opera suona bene la definizione di “antologia”. Tsukamoto aveva in mente Nightmare detective fin dai tempi di Tetsuo, ma all'epoca non lo realizzò in quanto stufo del genere horror. L'idea è quindi cresciuta con lui e con la sua filmografia, acquisendone la forma e i contenuti, e maturando fino a diventare la summa della sua opera registica. Nel film sono infatti presenti tutte le caratteristiche dei suoi precedenti lavori, in particolare del già citato Tetsuo, ma con richiami anche a A snake of june, Tokyo fist e altri.
L'ambientazione è quella che già spesso ci è stata proposta dal cineasta giapponese: un'imponente metropoli dotata di forti chiaroscuri, una città fatta di acciaio e carne, che ingurgita i suoi abitanti trasformandoli in esseri metallici. Ed è proprio la dicotomia metallo-sangue che risalta in maniera particolare. La città-uomo, l'uomo-psiche, la psiche-incubo e così via, mettono in scena una metamorfosi già avvenuta, già insita nei personaggi e negli ambienti, col fine di rappresentare quello che è il dittico per antonomasia, l'essenza del rapporto vita-morte.
Keiko, la protagonista femminile, pur essendo giovane, ha già alle spalle una carriera fruttuosa. L'impiego da colletto bianco rende però la sua esistenza monotona e priva di colore, trasformandola in una non-vita. Il tema di base è per cui tra i più classici e tra i più sfruttati del cinema di genere, fin dai tempi della Notte dei morti viventi. Nonostante il film presenti molteplici elementi classici, esistono differenze sostanziali con tutto quello che è stato già parte della storia del cinema. La non-vita di Keiko e degli altri personaggi non viene mostrata, non viene descritta e non rappresenta l'oggetto del film. Quello messo in scena è il “dopo”, la reazione, cioè la ricerca ossessiva del sentirsi vivi piuttosto che la "zombizzazione" della società moderna. E' impressionante come tutti i personaggi ricerchino la vita tramite la morte o il contatto con essa. La giovane detective si fa trasferire per poter vedere la scena del delitto, sentire l'odore di un cadavere, capire quanto rosso può essere il sangue. Allo stesso modo le vittime cercano il suicidio non tanto perché vogliono morire, ma piuttosto per poter sentire la morte (Zero, ti sento!) e tornare a capire cosa vuol dire essere vivi. Nonostante essi siano sul punto di suicidarsi, quando il mietitore fa la sua comparsa scappano, alla ricerca disperata della propria salvezza.
All'estremo opposto abbiamo il detective Ishida, un veterano dell'investigazione che, proprio a causa del suo lavoro, ha avuto sempre un rapporto molto stretto con la morte, ed è per cui abituato alle visioni che per la Kirishima sono sconcertanti. Ishida è un detective razionale, sempre propenso ad associare l'ipotesi più semplice con la verità, facendo trapelare un carattere dominato dall'equilibrio. Il suo mestiere gli dona tutta l'energia vitale di cui ha bisogno, consentendogli di condurre un'esistenza assolutamente serena, nonostante abbia a che fare ogni giorno con le peggiori nefandezze degli uomini. Egli è assolutamente privo di qualsiasi istinto suicida tanto che, nel tentativo di chiamare Zero, non riceve alcuna risposta, come se per il killer non esistesse nemmeno.
Due aspetti risultano stupefacenti da quanto appena detto. Innanzitutto è sorprendente come Tsukamoto sia riuscito a reinterpretare il suicidio come ultima risorsa per poter tornare a vivere piuttosto che come ricerca della morte. Nello stesso tempo egli riesce a fornirci una caratterizzazione estremamente dettagliata dei personaggi, limitando i riferimenti al loro passato a poche sillabe e fotogrammi. Di loro si sa praticamente tutto nonostante non venga detto quasi nulla.
Nella rappresentazione di tutto questo, un ruolo fondamentale lo gioca la compenetrazione reciproca dei vari elementi. Il Nightmare detective è in grado di immergersi negli incubi delle persone, facendone riaffiorare il passato, le angoscie nascoste e tutto ciò che forma l'inconscio freudiano. Anche Zero è in grado di accedere agli stessi sogni, andando ad agire sul desiderio represso di morte, impadronendosene e facendolo emergere a coscienza (come diceva Freud). Ma allo stesso tempo egli fonde la sua preda col proprio ego. Sono le coltellate che Zero si autoinfligge a ferire mortalmente le sue vittime, è il suo sangue a scorrere attraverso gli squarci nei corpi che attacca in sogno. La loro morte fa si che lui possa continuare a vivere in un eterno suicidio.
Lo stesso Tsukamoto, entrando in questo film più di quanto abbia fatto in altri, si lascia affondare in se stesso, in modo da trasmutare in celluloide ciò che fa parte del suo io e mettendolo a disposizione dello spettatore, il quale diventa a sua volta carne da dare in pasto alla sua lama.
Nonostante questa enorme complessità di fondo, Nightmare detective strutturalmente risulta uno dei film più classici del regista. La solida trama è assolutamente lineare, lontana anni luce dalle introspezioni Lynchiane o da qualsiasi claustrofobico intreccio. Le indagini vengono seguite in ordine cronologico senza particolari colpi di scena, facendo da sfondo ai risvolti psicologici delle varie maschere, vero giallo oggetto della visione.
A livello tecnico il film presenta i tipici aspetti della sua filmografia, sfruttando una scala cromatica al limite del bianco e nero, e una fotografia fortemente contrastata.
Anche le recitazioni si adeguano perfettamente all'impianto filmico: pur concedendo espressioni poco accentuate, in certi passaggi quasi apatiche, gli attori riescono comunque a lasciar trasparire i vari stati d'animo, esattamente come la linearità dello svolgimento riesce a trasmettere tutti gli aspetti fin qui descritti.
In conclusione, possiamo dire che ci troviamo di fronte a un film complesso, estremamente originale nella sua semplicità e la cui visione risulta d'obbligo, almeno per rendersi conto della grandezza di un regista come Shinya Tsukamoto.
Valutazione tecnica
Pur essendo stato mostrato in anteprima al primo festival del cinema di Roma, il film è stato sostanzialmente esentato dalla distribuzione in sala. Questa versione in dvd è ben realizzata e presenta un'ottima qualità video. Peccato per il sonoro solo in due canali e per la presenza dei soli sottotitoli in inglese, mentre è inspiegabile la mancanza di quelli italiani. A chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la lingua inglese è vivamente consigliata la visione in lingua originale.
Extra
Gli extra comprendono, oltre al trailer, una videocosa di Enrico Ghezzi, l'intervista al regista e un intervento di Sogo Ishii in realtà un po' privo di senso. Da segnalare inoltre un libretto con le poesie in prosa riguardanti il film di Donatello Fumarola, Lorenzo Esposito e Dirty Gerri.
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