Una catastrofe. La dicitura iniziale “Una produzione di Wes Craven” è solo un trabocchetto, perché d’interessante, in questo “eco-vengeance”, c’è ben poco.
L’idea di base sarebbe buona, ma è sviluppata in modo pessimo. Che la pellicola sarà infarcita di scene inverosimili sino al ridicolo, comunque, si capisce sin dalle prime scene, quando l’altra metà del cielo di una coppietta che fa scalo sull’isola sperduta di turno, ubriaca, strilla al marito che andrà a cercare un bar e lui, sobrio, la lascia andare.
Ma abbandoniamoli pure. Tanto già sappiamo che arriverà una seconda spedizione, guarda caso dal college, e guarda ancora il caso, in aereo.
Un vecchio investigatore diceva che una coincidenza è una coincidenza, due sono un sospetto e tre una certezza. Possiamo dunque credere che tutto sia stato scritto con cognizione di causa. Io sono una ferrea sostenitrice della sufficienza a seconda del target, ma bisognerebbe fare attenzione, per esempio, anche alla cinepresa e alla sceneggiatura.
I dialoghi sono insulsi, soprattutto quelli in cui si ricordano le bravate di anni passati: inutili e noiosi. Le scaramucce fra i ragazzi si protraggono troppo a lungo, e gli espedienti usati per creare una suspense che non c’è si rivelano dozzinali: dai giocattolini in cantina alle soggettive fra i cespugli.
Poi, il temporale.
Quando una delle protagoniste viene morsa dalla madre di un cucciolo, ci viene fatto credere che sia stato solo per una questione di protezione, e solo la notte, a letto, un altro ragazzo comincia a parlare di cani addestrati che vivono sull’isola e che potrebbero avere la rabbia. Ogni scena è attaccata con la colla e ci rendiamo conto che qualcosa non va, a partire quindi dal ragazzo stesso, che avrebbe potuto costringere la ragazza morsa a tornarsene a casa, visto che, oltretutto, studia (ma guarda il caso) veterinaria.
Siamo a oltre metà film quando arriva la prima scena di suspense, con l’accerchiamento della casa da parte dei cani. Ma tutto è scontato, prevedibile.
Il succo insomma è: “Non ci vogliono qui”.
L’unica via di uscita è una corda tesa fino all’autorimessa, ma (tu guarda ancora il caso!) una delle ragazze è campionessa di free climbing, e i nostri eroi ce la faranno… a vedere che l’auto ovviamente non funziona più.
Altra grossa falla della sceneggiatura sono i numerosissimi punti morti fra le poche scene d’azione. Nonostante stia succedendo quel che succede, i ragazzi hanno ancora voglia ogni tanto di ripensare ai tempo andati. Giusto per annoiare ancora un po’ lo spettatore.
Passata un’ora, sono ancora tutti vivi?
Nessun problema. Ovviamente la corrente salterà e uno dei nostri dovrà scendere nella buia e misteriosa cantina per riaccendere l’interruttore…
E mi fermo qui, ma preparatevi a una bella sfilza di luoghi comuni finali, tanto banali da scadere nel ridicolo.
Un ultimo appunto: la recitazione è pessima (pure quella di Michelle Rodriguez, per quanto possa attirare il pubblico maschile), tranne quella dei cani, che si prendono le scene più difficili e impegnative.
Un plauso agli addestratori! La stellina è solo per loro.
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