Il nome di Takashi Shimizu ha cominciato a circolare con insistenza tra le comunità di appassionati del genere j-horror nel 2002, anno in cui venne lanciato su grande schermo uno dei lungometraggi che da molti viene ritenuto a tutt’oggi fra i più terrorizzanti mai prodotti in Giappone: Ju-On o, come è conosciuto oltreoceano, The Grudge (Il Rancore).
Perché in questo momento l’inconsueta new wave dell’horror nipponico ha preso così tanto piede in Occidente?
Secondo lo stesso Takashi il pubblico americano e, di conseguenza, quello europeo che da esso dipende, è stanco di splatter in tutte le sue espressioni; quando in un film non ci sono altro che sangue, urla corpi smembrati e il consueto gruppo di teen-ager isolati, alla paura si sostituisce la noia, e quel minimo di adrenalina offerta dalla scena a sensazione non ripaga certo l’impressione generale.
Indubbiamente le due culture sono fondamentalmente diverse: mentre l’occidentale, in una società sempre più alienata è portato ad aver terrore anche del vicino di casa o dello sconosciuto che potrebbe aggredirlo improvvisamente e proditoriamente, l’orientale e il giapponese in particolare, teme il non espresso, l’inesplicabile, l’intravisto.
Per ipotesi lo “sfruttamento” di personaggi infantili non è dato dal fatto che siano indifesi nei confronti del mostro di turno, ma piuttosto dal loro poter vedere fantasmi o altre manifestazioni che non riescono poi a comunicare al mondo degli adulti.
Per qualche verso, fatti i dovuti distinguo, si potrebbe dire che la new wave giapponese si ispira, oltre alla cultura locale, anche a determinati aspetti presenti nell’opera di H.P. Lovecraft e di pochi altri grandi, laddove l’apparizione del “mostro” è spesso il momento più debole, narrativamente parlando, il cui scopo, però, è quello di far penetrare gradualmente, ma incisivamente, l’orrore nel lettore o nello spettatore.
Forse è proprio per questa ragione che i film di Takashi, come quelli di altri registi del sol levante hanno suscitato l’attenzione di Hollywood che ne sta producendo i remake che saranno, probabilmente, adattati in parte al gusto corrente.
Possiamo solo augurarci che il fascino dell’opera originale resti intatto.
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