Quando Nick Castle e Brett Spooner agganciano inavvertitamente dal fondo dell'oceano una vecchia borsa da pesca, ha inizio una serie di eventi terrificanti che porteranno il panico tra gli abitanti di Antonio Bay. Un panico che affonda le proprie radici in un terribile segreto di cento anni prima: i fondatori del piccolo villaggio di pescatori incendiarono e affondarono una nave con tutto il suo equipaggio, per rubarne un ingente carico di oro.
I fantasmi dell'equipaggio stanno per tornare, nascosti da una fitta e misteriosa nebbia, a riprendersi la loro rivincita e la loro dignità.
"Siamo tutti dei fan del film originale, ma ha 25 anni e ci sono un mucchio di ragioni per rifarlo". Questa è stata la dichiarazione di Rupert Wainwright, regista che si fa ricordare per il mediocre Stigmata. L'autore ha diretto il remake di The Fog, cult movie del maestro John Carpenter datato 1980, puntando per di più a "un'opera di restauro" che mira a migliorare con le tecniche di oggi le lacune del passato, piuttosto che reinventare completamente il soggetto originale.
Un intento pretenzioso ma che ha garantito al regista un importante budget (18 milioni di dollari n.d.R.) col quale lavorare e al primo colpo sbancare i botteghini (11 milioni incassati solo nel primo weekend n.d.R.). Il risultato è però ben poco lusinghiero: anche questo remake si farà ricordare come l'ennesimo specchietto per le allodole che potrà tanto entusiasmare i teenager quanto straziare i cuori dei fans di vecchia data.
Il film per tutta la sua durata segue abbastanza fedelmente lo svolgimento improntato da Carpenter, apportando come veri cambiamenti la (inutile) love story tra i due protagonisti, un maggior approfondimento della trama originale e un nuovo innesto nel finale.
La minacciosa nebbia che avanza dal mare ritorna venticinque anni dopo con lo stesso script ma, ahimè, con un nuovo look che nuoce gravemente alla credibilità della pellicola. In primis con l'inevitabile confronto con l'originale.
The Fog di Carpenter acquisiva forza proprio dalla suspence che creavano le atmosfere, dal vedo/non vedo, dall'effetto artigianale della nebbia inverosimilmente fitta e densa. Tutto si sviluppava con un incidere lento ma sinistro, fino all'onirico e sorprendente finale. Fermando lo spettatore a una riflessione su come le azioni del passato si possano ripercuotere nel presente, di come le persone debbano assumersi le proprie responsabilità, armi a doppio taglio per un tornaconto futuro. Messaggio chiaro quello di Carpenter, che nel remake è velato e decisamente messo in secondo piano a favore dell'estetica.
Il rifacimento di Wainwright non rende giustizia agli ingredienti dell'originale e punta a un'estetica moderna e videoclippara, tanto fredda da non riuscire mai a trasmettere quello che il pubblico vuole: la tensione.
Momenti di profonda noia e buchi di sceneggiatura inspiegabili si susseguono per tutta la durata del film. Nel finale, dove ci si aspetta il colpo di coda in grado di risanare l'economia generale della pochezza fino a quel momento vista, ma addirittua il regista riesce a peggiorare le cose sfiorando il risibile.
Poco felice si rivela anche la scelta del cast: il "superman di Smallville" Tom Welling si fa ricordare più per i muscoli e le belle espressioni, e divide il ruolo di protagonista assieme a Maggie Grace, salita alla ribalta con il serial Lost. I due sono palesemente ancorati a una recitazione veramente poco espressiva e inadatta a un film di questo tipo, inoltre i dialoghi non li aiutano sicuramente a risalire dalla mediocrità.
Solo Selma Blair riesce a emergere con una sensuale interpretazione nel ruolo di Stevie Wayne (all'epoca il ruolo fu di Adrienne Barbeau, allora moglie di Carpenter), la speaker della radio che nel 2005 preferisce far girare vinili di rock alternativo e post punk anziché disco music e funky.
Inappuntabile la curatezza degli effetti e della fotografia. Alcune scene si possono ricordare con piacere, come l'arrivo della nebbia dal mare con l'esasperata corsa del bimbo verso casa o come l'entrata dei fantasmi nel municipio dove il cast si rifugia. Ma è davvero troppo poco per salvare The Fog dalla mediocrità. Soprattutto se un film di genere perde laddove dovrebbe colpire: nel creare suspence e momenti di terrore. E stiamo parlando del remake di una ghost story come The Fog che, da sempre, è un lampante esempio.
La nebba costruita da Wainwright è inesorabilmente destinata a dipanarsi presentandosi come opera immatura e facilmente confondibile con qualunque altro prodotto uscito negli ultimi tempi. Film che finora si sono solo rivelati mere operazioni commerciali, destinate a colpire la sensibilità di un pubblico poco incline ad approfondire gli elementi di un genere che ha saputo dare tanto ma che oggi arranca malinconicamente.
8 commenti
Aggiungi un commentoFinalmente l'ho visto, ma ricordo delle scene già ripetute in un'altro film ,comunque mediocre.... la fine idem.............. .
Sinceramente non ci tengo a vedere questo remake, forse perché The Fog è (notoriamente) il mio film di John Carpenter preferito. All'epoca restai profondamente colpito, oltre che dall'impianto horror del film, dal suo messaggio squisitamente "politico", che, a mio parere (soggettivo) potrebbe suonare "Quante efferatezze possono esserci sul cammino che porta a un bicentenario?" (da ricordare che si erano da poco spenti i riflettori sul Bicentenario per eccellenza). Mi domando cosa resti, nel remake, del messaggio, o dei messaggi, del Carpenter che amiamo.
nel remake non c'è alcuno dei messaggi critici che tu hai sottolineato del primo.......nel remake non c'è niente..........neppure un film..............
Mi hai fatto morire: la frase delle frasi !!!!!!!!!!
...quoto pienamente... sia Decker che Perez...
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