In una fattoria isolata del Midwest si consuma una tragedia. Emily Rose (Laura Carpenter) muore in casa dopo una lenta agonia, il corpo emaciato e coperto di ferite. La polizia arresta Padre Moore (Tom Wilkinson), sospettandolo dell’omicidio della ragazza. L’uomo avrebbe cercato di sottoporre Emily a un esorcismo, nel tentativo di liberarla da una possessione diabolica. Della difesa del religioso, l’Arcidiocesi incarica la brillante avvocatessa Erin Brunner (Laura Linney). Poco prima del processo, Padre Moore dichiara di volerne accettare il patrocinio dell'avvocato a una sola condizione: quella di poter raccontare pubblicamente ciò che avvenne realmente durante l’esorcismo di Emily Rose.
Chiamatelo Maligno. Chiamatelo Eterno Nemico. Chiamatelo Diavolo. Ma quando il Male per antonomasia approda sul grande schermo, fa quasi sempre paura. The exorcism of Emily Rose di Scott Derrickson conferma questa tradizione cinematografica e colpisce nel segno. Siamo dinanzi a un film che si eleva nettamente al di sopra della media degli altri horror usciti in questo funesto 2005.
Derrickson dà vita a un’opera tra legal thriller e horror cercando di dosare al massimo gli effetti speciali, per darle un taglio più realistico e a tratti quasi documentaristico. Il regista non inganna lo spettatore con cheap scares o splatter gratuito, ben sapendo che ciò che non si vede sullo schermo è ben più terrificante di una mano che emerge dal nulla per afferrarti una caviglia o di un maniaco che ti insegue in un vicolo buio. Bastano un registratore che gracchia nell'oscurità e una cinepresa a mano, ed ecco arrivare quel piacevole brivido lungo la spina dorsale.
Ma l’autore riesce a creare attimi di pura tensione grazie anche a un cast stellare. Tom Wilkinson, attore di grande esperienza, interpreta un Padre Moore in grado di commuovere e di spaventare, capace di accattivarsi le simpatie del pubblico o di lanciarsi in un monologo agghiacciante, il volto immerso nella penombra.
Laura Linney, già candidata due volte all’Oscar e forse la migliore attrice del film, è una Erin Brunner convincente e composta, capace di gestire paure e conflitti interiori con grande dignità.
Jennifer Carpenter, invece, stupisce con una performance fisica ai limiti dell’autolesionismo. Non ci dimenticheremo facilmente la sua Emily Rose durante la scena dell’esorcismo: bastano un paio di lenti a contatto nere per regalare attimi di puro orrore.
The exorcism of Emily Rose dichiara fin da subito di non voler essere un horror come tutti gli altri. Il film vuole trasmettere allo spettatore dubbi religiosi e filosofici. A essere in gioco è il Problema per eccellenza del cattolicesimo, quello dell’esistenza del Male. Ma è un gioco pericoloso, che rischia di precipitare nella pretenziosità al minimo errore.
Scott Derrickson riesce a mantenere il giusto equilibrio costruendo tutto il film su un dualismo di fondo. L’idea di mescolare horror con il legal thriller permette di bilanciare la vicenda tra razionalità e soprannaturale, tra scienza e fede, tra Spirito e Materia, tra Bene e Male.
Il regista glissa su complicati problemi teorici condensando la filosofia del film in una frase che pronuncia Padre Moore: “I demoni esistono, che lei lo voglia oppure no”.
Una semplificazione forse eccessiva, ma efficace.
Il Male esiste ed è intrinseco al mondo fisico. Il corpo stesso è malato e, di fondo, malvagio. Ecco perché la possessione di Emily esplode in modo carnale, incontrollabile: il corpo della ragazza deve essere mutilato dalle ferite autoinflitte, debilitato dal digiuno e dall’inedia. Emily sarà ridotta a una creatura sofferente e urlante, senza alcuna possibilità di salvezza, almeno non nel mondo fisico. La vera tragedia non è solo nell’inevitabilità della possessione, ma soprattutto nella sua necessarietà.
Emily deve percorrere la sua via crucis personale per scoprire la Fede: solo provando un grandissimo Male è possibile aver fede nell’esistenza di un Bene infinito.
La possessione diabolica non è quindi né un male da estirpare (come nell’Esorcista) né una minaccia da combattere (come nel Presagio), ma diventa una durissima prova spirituale. Non c’è spiegazione, né colpa.
Le responsabilità si cercano nei processi. Quando Padre Moore va alla sbarra, è la Fede stessa a essere accusata. Come può Dio, nella sua infinita misericordia, permettere tanto male? Eppure la risposta è nella Fede stessa. Quella che in Emily sembra non aver limiti. Quella che le permette di affrontare il proprio martirio fino alla fine.
Nonostante la durezza delle scene, il film potrebbe essere tranquillamente proiettato nelle scuole, all’ora di religione, intriso com’è di furore spirituale. Semplificazioni a parte, ha il pregio di far discutere e sollevare interrogativi complessi, evento sempre più raro nei film pop-corn ai quali siamo abituati a vedere, e ancor più raro negli horror prodotti negli ultimi anni.
Tuttavia the exorcism of Emily Rose non è un film perfetto, e zoppica proprio nel voler essere a tutti i costi fedele a se stesso. Il dualismo che anima la filosofia del film è pregevole nella sua capacità di alimentare dubbi e di far discutere il pubblico, ma diventa quasi manicheismo quando applicato alla caratterizzazione dei personaggi.
C’è una dicotomia piuttosto elementare tra buoni e cattivi. Il rappresentante della pubblica accusa (il pur bravo Campbell Scott) è ottuso, stereotipato e fin troppo accanito, il personaggio di Gunderson (Colm Feore) è un superiore di Erin mellifluo e ipocrita come c’era da aspettarsi.
Interrogativi così profondi avrebbero meritato personaggi dalle sfaccettature più complesse, mentre è continuamente in agguato il cliché, l’irresistibile tentazione di creare maschere facilmente riconoscibili per il pubblico.
Nonostante gli intenti, le forze del male sembrano giocare un ruolo marginale nel dibattimento processuale. La sceneggiatura lascia qualche perplessità non spiegando a sufficienza alcune bizzarrie nella procedura legale, e risulta piuttosto debole proprio nel tentativo di approfondire il fenomeno della possessione dal punto di vista scientifico. La scienza ufficiale appare sotto le spoglie di medici arroganti o dello strano personaggio della dottoressa Adani (Shohreh Aghdashloo), presumibilmente alter-ego cinematografica dell’antropologa Felicitas Goodman, fricchettona di Yale che crede di convincere una giuria popolare citando Castaneda.
Difetti che purtroppo rovinano un potenziale cult movie. Siamo di fronte a un buon film che lascia più volte un senso di incompiutezza, a volte scambiando la sobrietà con la grossolaneria.
The exorcism of Emily Rose è un film da non perdere in ogni caso, un horror che cerca di andare oltre il puro e semplice spavento per regalare interessanti spunti di riflessione. Per una volta, è piacevole uscire dal cinema con qualcosa da raccontare.
2 commenti
Aggiungi un commentoPure io ho trovato originale e vincente il miscuglio di horror e legal thriller, ma sul fatto che facciano più paura le grida sul registratore o altre cose che non si vedono ho dei dubbi... perché quelle facce che all'improvviso trascolorano nel nero sono una delle cose più terrificanti che io abbia mai visto in un film horror.
Dopo L'Esorcista, rimane il miglior film sull'argomento. Sarà perchè le sceneggiature derivate da storie vere colpiscono sempre un pò l'immaginario collettivo, ma questa storia mi ha affascinato.
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