La baita è vicina alla statale, all’inizio della valle, poi non c’è più nulla per chilometri. E’ tutto bianco di neve, la strada, i prati ripidi e i boschi di faggio e carpino. Dalle due finestre escono luce e voci, e fumo dal camino. Sono solo le nove di un sabato di dicembre e gli uomini dentro la baita sono già abbastanza ubriachi da ridere a squarciagola. Sono là dal tardo pomeriggio e la birra ha tenuto loro buona compagnia. Ridono forte, ma quassù non li può sentire nessuno.
- Non sapete la più bella, ma questa è vera! - disse Piero con gli occhi rotondi fuori dalle orbite.
- Allora vuol dire che quelle che hai raccontato finora sono balle! - disse Sandro, il padrone di casa e tutti scoppiarono a ridere.
- Non mi credete? Non mi credete? - continuò Piero. -Sono tutte storie vere!
Intorno al fuoco del caminetto erano in sei, tutti colleghi di lavoro e quella sera non s’aspettavano che Piero raccontasse tutte quelle storie incredibili. Ridevano, storditi e felici, presi in una spirale infernale che l’aria sembrava non bastare ai loro polmoni e le mascelle si potevano slogare da un momento all’altro. Avevano male al petto a forza di ridere ma Piero non aveva pietà.
- La sapete quella di quel mio amico, che bastardo, che faceva le seghe al cane? - disse Piero.
- Che che che? - chiese Sandro che stava mescolando nel paiolo la polenta densa. Tutti guardarono negli occhi spalancati di Piero per vedere che altro c’era.
- Andavo sempre a pescare con un mio amico e suo fratello, che due carogne, che due bastardi! Mentre aspettavano che le trote abboccassero, i bastardi prendevano il cane e gli facevano una sega e il cane, oh fiòi, dovevate vedere che facce che faceva…
Ripresero a ridere forte. Sandro non respirava più. Andrea e Berto erano inginocchiati a terra e le lacrime scendevano dalle guance.
- Ma va in mona! Le seghe al cane ma come facevano? - chiese Sandro appena si riprese.
- Con la mano, come vuoi farle? - rispose Piero.
- Che ne so, con un guanto…
Mario uscì come un razzo dalla porta e lo sentirono sputare il vino e maledire Piero e le sue storie del cazzo. Mario non rideva più da mesi, da quando s’era separato e a casa viveva solo e andava al lavoro e tornava a casa, sempre da solo. Aveva quasi cinquant'anni e a volte non gli sembrava d’essere il più vecchio della compagnia, soprattutto quando aveva bevuto.
- Nevica ancora - disse guardando i fiocchi scendere dal cono di luce della porta aperta sulla valle.
Uscirono e la neve li assorbì tutti che sembravano le belle statuine del presepio: Sandro, che per un momento aveva smesso di mescolare la polenta e s’era affacciato alla porta in maniche corte, Mario che aveva ai piedi le chiazze violacee del vino appena sputato, Piero - Ve ne racconto una adesso, questa sì che è forte, oh fiòi - e Cosimo il ragazzo del sud che non capiva il dialetto e rideva per contagio. Uscirono anche Berto e Andrea, così giovani e così ubriachi da credere davvero d’essere in un presepio.
- Speriamo vengano a aprire la strada, sennò stanotte non torna a casa nessuno - disse Sandro ritornando alla stufa economica e alla polenta.
- Andiamo a mangiare, che a me la neve fa venir appetito - disse Mario e rientrarono tutti.
Sandro servì la polenta e Mario tolse le braciole di maiale dalla griglia d'acciaio. Il profumo delle braciole era buonissimo, le aveva messe in macera la sera prima con aglio, rosmarino, limone e sale grosso come gli aveva insegnato sua cognata. Ne servì una ciascuno con una salsiccia.
Tutti assaggiarono in silenzio, attenti a non scottarsi e dissero solo mmmm.
I piatti s’incrociarono, passando e ripassando a guarnire con cappucci e insalata la carne. Le bocche lavoravano sodo, unte e morbide del grasso che le braci non avevano tolto alle braciole e dell’olio d’oliva aggiunto ai fagioli con cipolla.
Perfino Piero tacque e sembrava che quella cena dovesse durare per sempre.
- Sono cazzi se non passa lo spazzaneve - disse Berto guardando il rettilineo bianco.
- Sono cazzi sì - rispose Mario. Pisciava oltre la rete di recinzione fin giù sulla strada, e notò che spingendo forte riusciva a arrivare lontano quanto Berto, anche se Berto aveva vent'anni di meno.
Intorno era buio e bianco, una cosa pazzesca.
4 commenti
Aggiungi un commentoBello, anizi bellissimo. E' talmente coinvolgente, che mi sento quasi un personaggio del racconto.Bravo Toni, continua così...!!
Visto che un giudizio sul tuo racconto non l'ho ancora espresso in privato, cosa ne penso non te lo dico nemmeno ora, in pubblico (però me lo sono segnato sull'agenda: "Scrivere Antonio G.B.".)
Ti posso anticipare solo una cosa: stile nitido e lineare, alla Bortoluzzi. Mauro
A me è piaciuta più la prima parte che l'ultima. A partire dal punto in cui viene rivelata la vera natura di "Smith", mi sembra che lo stile si abbassi un po', che saltino fuori un po' troppi cliché.
Comunque è una storia scorrevole e, nel complesso, ben scritta.
Tante, troppe parole per dire poco. Se non ci fosse stato il vampiro il racconto non avrebbe perso la sua valenza, improntata al dialogo tra ubriachi che non sono nemmeno bene caratterizzati. Quando lo scrivere è un esercizio fine a se stesso che ha, come finalità, il bisogno di misurare il grado d'ingenuità di chi leggerà.
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