Il numero 18 di Zothique edito dalla Dagon Press si presenta come una gemma preziosa per gli amanti del fantastico, una sorta di labirinto mentale che invita il lettore a perdersi tra miti dimenticati e riti oscuri.
Sin dall’apertura con il saggio di August Derleth, l'anima stessa dietro la leggendaria Arkham House, si percepisce l’ambizione della rivista: esplorare territori della letteratura fantastica che spesso rimangono nell’ombra, ma che sono la base di quel mondo onirico e visionario che Zothique vuole ricostruire pezzo dopo pezzo. Il viaggio prosegue con la riscoperta di George Henry Weiss, meglio conosciuto come Francis Flagg, una figura quasi evanescente del panorama dei pulp magazines. Le sue opere, qui riportate alla luce con meticolosa cura, come La Spiaggia delle Meduse e L’Odore del Male, risvegliano antiche inquietudini e riecheggiano il senso di estraneità che permeava l’epoca d’oro della narrativa weird. Un altro contributo significativo di Flagg è la riproposta del raro racconto La distorsione dallo Spazio, fortemente ispirato a H.P. Lovecraft e in particolare alla sua celebre opera Il colore venuto dallo spazio. Questo racconto si inserisce perfettamente nell'alveo della narrativa lovecraftiana, con il suo tema della distorsione della realtà e dell'inconoscibile che si manifesta attraverso l'elemento alieno. Flagg, pur rimanendo fedele alle atmosfere cosmiche e opprimenti di Lovecraft, riesce a portare una sua sensibilità, rendendo la distorsione spaziale non solo un evento esterno ma anche una metafora di una crescente alienazione interiore. Di lui ci parla con la consueta competenza Pietro Guarriello.
L’omaggio agli autori che hanno contribuito a plasmare l’immaginario weird continua con Frank Belknap Long e il suo Ghoul del Deserto, una traduzione che si apre come un varco verso territori sconosciuti, una narrazione densa di quel senso di perdita e inquietudine che permea i paesaggi più desolati della mente umana. Ho trovato particolarmente interessante l’intervista a Long, dove traccia un ritratto di Lovecraft come una persona fuori dal comune, quasi aliena, sottolineando la sua unicità non solo come scrittore, ma come essere umano. Long afferma che il suo celebre racconto I Segugi di Tindalos anticipa la filosofia psichedelica di Timothy Leary, trovando un inaspettato seguito tra gli hippie, che ne apprezzano il viaggio nei recessi più reconditi della mente. A mio avviso, lo stesso si può dire di Lovecraft: le sue opere, se lette in chiave simbolica, offrono un viaggio negli abissi dell’inconscio, toccando temi che avrebbero affascinato anche movimenti culturali più recenti. Long sostiene inoltre, in linea con quanto già espresso da S.T. Joshi, che Clark Ashton Smith sia stato più poeta che scrittore. Secondo lui, solo dieci dei racconti di Smith possono essere considerati validi, il resto non avrebbe la stessa profondità artistica che si ritrova nelle sue poesie. Questo giudizio severo su Smith offre un’interessante prospettiva critica, alimentando il dibattito sulla qualità della narrativa weird del tempo. A questo punto il lettore è ormai avvolto in una nebbia densa di rimandi e richiami, dove saggistica e narrativa si intrecciano in un dialogo incessante. Il saggio di Davide Arecco scava ulteriormente nel rapporto tra Long e Lovecraft, tracciando un filo che unisce le loro visioni oniriche e filosofiche, mentre il lungo contributo di Mariano D’Anza sulla poesia di Robert E. Howard prosegue la sua analisi critica, aggiungendo un ulteriore tassello alla comprensione di un autore spesso ridotto a semplice creatore di Conan.
Non manca, ovviamente, lo spazio per la narrativa italiana, che trova qui una sua nicchia preziosa. Il racconto di Luca Bonatesta Il giorno dell'uguaglianza, ad esempio, si distingue per essere un folk horror ante litteram, con ambientazioni che richiamano la geografia del Salento, tra paesaggi misteriosi e arcaici che si intrecciano con il soprannaturale. Il finale, con la sua crudezza e potenza visionaria, è degno delle opere del Clive Barker dei Libri di sangue, con un’esplosione di orrore e fascinazione che lascia il lettore senza fiato. Di Maria Tauro, invece, in Il maniero dell'Innominabile, emerge un'eccellente storia gotica (tra l'altro ben scritta stilisticamente) che reinterpreta i temi di Lovecraft in modo originale. Il suo racconto, che aggiorna il mito di Shub Niggurath, è un esempio perfetto di come il fantastico possa rimanere fedele alla tradizione, pur esplorando nuovi orizzonti tematici e simbolici. Tauro riesce a creare un’atmosfera densa e soffocante, degna della miglior narrativa weird, dove l'orrore cosmico si mescola con un'introspezione psicologica moderna, rendendo il racconto non solo un omaggio a Lovecraft, ma anche una riflessione sui nostri tempi. Infine, i racconti vincitori del concorso letterario organizzato dal Circolo L’Altroquando chiudono il cerchio, a testimonianza di una comunità letteraria viva e in fermento.
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