Ginevra De Rossi nasce nel 1900 e qualcosa in un desolato (Tetro)borgo estense. Si laurea in Filosofia presso l'Università di Bologna. Ha pubblicato l'ebook Pendagli da Forca per le edizioni Delos Digital, un racconto sulla rivista Il Lettore di Fantasia, uno (spinoff di Pendagli da Forca) sull’antologia natalizia del Lettore di Fantasia Se una notte d’inverno un lettore e ha un racconto lungo (un grimdark) di prossima pubblicazione nell’antologia Chimerica per PAV edizioni. Scrive principalmente come forma di autoterapia. I suoi autori di riferimento sono Borges e Ballard ed è un'attivista nell'ambito della difesa dei congiuntivi e delle subordinate.

Intervista

Ciao Ginevra grazie per essere qui ad Horror Magazine. Perché non ti presenti a grandi linee?

Sono una scrittrice di ritorno, che da adolescente buttava parole in maniera autoreferenziale, che aveva poi smesso perché ‘tanto non serve a nulla’ e che da qualche anno ha ripreso come terapia anti ansia e depressione. E che ha scoperto il piacere di raccontare anche per gli altri, e non solo per se tessa (anche se rimango la mia principale lettrice).

Rimanendo nel campo background culturale, quali autori ami o reputi stimolanti e chi ti ha acceso la scintilla per la scrittura?

Scrivendo non tanto per spirito di emulazione ma come necessità di formalizzare il caos che avevo dentro (e che tuttora rimane irrisolto), non c’è stata un’opera specifica che ha dato il la. Ma ci sono autori e opere che per me rappresentano pietre miliari del mio percorso di crescita. Da adolescente ho ritrovato in “Rusty il selvaggio” di Susan Hinton o “Ossessione” di Stephen King certi vettori emotivi che mi erano propri e ritenevo esclusivi. E che mi han fatto capire che c’era altra gente là fuori che aveva passato i miei stessi casini.

Ho amato Lovecraft, per il senso di meraviglia e la vertigine di orizzonti oltre la porta dell’umano che mi ha aperto. Ho adorato Ballard, e le sue metafore psicanalitiche sul fallimento, personale e come specie, dell’homo sapiens e sulla necessità di trascenderne lo status per adattarsi a un mondo in perpetua trasformazione (per esempio riagganciandosi alle pulsioni del cervello rettile come in “Deserto d’acqua”).

I primi quattro volumi della saga di Dune per me rappresentano l’apice del worldbuilding, e anche la scrittura di Herbert, criptica, arzigogolata, misticheggiante, trovo che sia un complemento perfetto a una storia che vive di visioni e profezie, e a un universo dove le astronavi si muovono grazie ai sogni lucidi di navigatori sotto l’effetto della Spezia.

Come puro fantasy il mio preferito rimane la Saga del Signore degli Enigmi di Patricia McKillip, trasognante e poetico, una piccola gemma.

Hai pubblicato alcuni ebook con Delos, tratti in maniera atipica e originale il fantasy. Puoi palarci dei tuoi titoli e delle loro caratteristiche?

Pendagli da Forca è una parodia nera fantasy che prende spunto dalle commedie storiche italiane degli anni d’oro (Il soldato di Ventura, i Brancaleone, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, ecc.) e aggiunge una vena sarcastica alla Leo Ortolani. Il tutto senza rinunciare a un linguaggio (ritengo) di spessore. Le avventure di Feccia il Goblin e Lezzo il Nano pescano nel cialtronesco e si tingono di picaresco, ma sempre con abbondanti dosi di cinismo e humor nero.

La Progenie del Sabba è una raccolta di quattro racconti (più un quinto che funge da cornice narrativa) a tema stregoneria. Ho provato un approccio e un registro stilistici differente per ogni racconto, dal dark fantasy a tinte cosmic horror di ‘Tessitura Suprema’ al cialtronesco di ‘Il buono, i brutti, la cattiva’ (che vede il cameo di Feccia e Lezzo). ‘Il volo degli asimuè’ è un fantasy/fantastico classico con una spruzzata di romance (la strega protagonista è ispirata a Morrigan di Dragon Age, quindi puoi immaginare come non si scivoli mai nello sdolcinato), mentre ‘Generazioni’ è un esperimento di suggestioni in puro ‘Tell, don’t show’, ed è risultato il più apprezzato o il più schifato a seconda del lettore. Amen.

Quali pensi siano i lettori adatti alle tue opere?

Gente che apprezza la diversificazione stilistica e l’ironia, e trae piacere da una scrittura rifinita e ben strutturata, non sciatta.

Ho visto che siamo anche colleghi nell’antologia Fratelli di Taglia di Ignoranza Eroica. Cosa ne pensi di questo movimento underground? Come li hai scoperti e cosa ne pensi?

Mi permetto di riportare la mia recensione di uno dei loro libri, Riviera Napalm. Ovviamente quanto sotto vale in generale per tutta la loro produzione.

“Un pastiche acido e testosteronico full throttle, grottescamente violento e trash, tamarro, maranza e surreale è ciò a cui mi sono trovata di fronte. La cifra stilistica del duo è peculiare, il loro crafting di un nuovo linguaggio e la loro ricerca di una nuova espressività sono perfettamente riusciti. Certo, non ci troviamo di fronte a una nuova "Mostra delle atrocità" di Ballard, si vola basso, ma c'è una ineffabile genuinità nel modo in cui i due snocciolano ipertrofie iperboliche che mi fa ritenere che il tutto sia una diretta filiazione delle loro normali conversazioni al bar. Insomma, mi ha fatto ridere un sacco”.

L’idea per ‘Pendagli da Forca’ nasce proprio dalla Mappa di Taglia, ed è stato amore a prima vista. Pian piano ho recuperato i volumi della saga e ritengo che, di là dall’utilizzare uno stile e un approccio divisivo (o li ami o li odi), il fatto di avere qualcuno che scrive, pubblica e vende (bene) fuori dal solco (e lontano dai percorsi obbligati dei Corsi di Sciattura) non può che rappresentare un fattore positivo per il genere.

Qual è un tuo progetto inedito ma che ritieni il più ambizioso?

Una trasposizione “grimdark” (si potrà dire?) del Padrino, scritta a quattro mani. Più che un fantasy, una gangster story medievale, ambientata in un mondo alternativo, senza magia.

Abbiamo provato a riprodurre le atmosfere e le dinamiche tipiche dei film di Coppola (e colleghi). Anche se la violenza è ovviamente una delle ineliminabili componenti, non ne costituisce però l’aspetto principale, in quanto il focus è sulla strategia e sulla capacità del protagonista di prevedere e anticipare le mosse dei clan avversari. Una partita a scacchi multilivello lungo le strade e i porti di una New York immaginaria.

Abbiamo una piccola ma solida CE interessata (non EAP, ovviamente) per il 2025, vedremo gli sviluppi.

Senti di maturare ancora a livello di scrittura o pensi di avere abbastanza padronanza della materia da poterti approcciare ad altri editori con concept e titoli di grande impatto?

Non credo di padroneggiare ancora appieno il ‘ritmo’ del romanzo e potrebbero esserci margini di miglioramento, non tanto a livello di linguaggio, quanto di struttura e disposizione delle scene. E potrei migliorare nelle descrizioni, rendendole più articolate, dato che le mie sono pennellate veloci che si limitano a suggerire.

A proposito di Pitch ed editoria, cosa ne pensi del palcoscenico italiano della letteratura di genere ?

Non lo conosco in maniera poi così approfondita. Da lettrice onnivora il fantasy è solo una (non trascurabile) percentuale di quel che leggo. Ogni tanto mi imbatto in colleghi di cui apprezzo la voce, ed è un piacere supportarli acquistando le loro opere e condividendo le recensioni. Però vedo che buona parte della produzione nostrana si focalizza su YA, urban e retelling, che in genere a me non fanno impazzire. Ma se dovessi trovare qualcosa di scritto VERAMENTE bene (per i miei gusti), non avrei problemi a supportarlo, indipendentemente dal sottogenere. Purtroppo pare che i miei gusti e i prodotti finali di certe scuole di scrittura non abbiano molto terreno in comune :D

Come gestisci le tue idee narrative? Pianifichi tutto o segui il flusso?

Lascio maturare finché canovaccio e dialoghi principali non sedimentano, poi inizio a scrivere. Ogni tanto cambio in corso d’opera o aggiungo al volo, ma quando sono davanti alla tastiera in genere so già cosa dovrà saltarci fuori.

Fuffaguru, Big Luca dello storytelling e Dubai wannabe, la scrittura è diventata una cloaca di corsi di scrittura. Che ne pensi?

Un piccolo aneddoto. Walter Tevis, l’autore de L’uomo che cadde sulla Terra, La Regina degli scacchi, Lo spaccone e Il colore dei soldi, insomma non l’ultimo arrivato, anche da ricco e famoso continuava a seguire corsi di scrittura, al punto che uno dei docenti gli disse “Dovresti esserci tu, qua al mio posto.”   I corsi non sono il male di per sé.

Possono servire a scrittori alle prime armi e/o con poche idee e ben confuse su storytelling e costruzione di dialoghi e scene per sgrezzare il loro approccio. Possono servire ad autori già affermati o esperti ad apprendere qualche nuova tecnica o raffinare certi aspetti della loro scrittura.

Ma l’idea che esista “un approccio o sistema unico e superiore” allo scrivere e che a insegnarlo sia proprio Bigio de’ Bischeri, ex scrittore con duecento copie vendute alle spalle, fa molto situazione alla Wanna Marchi.

Si sfrutta la vulnerabilità di uno scrittore insicuro (“perché non vendo?” “perché nessuno mi legge?”), gli si crea un bisogno inessenziale (“Se vuoi sfondare devi seguire questo corso e imparare a scrivere sovversivo… ehm, immersivo), gli si vende la panacea (“Quintordicimila euri e due anni di corso e ti leggeranno anche ciechi e analfabeti!”).

Non parlo di truffe, sia ben chiaro, c’è senz’altro gente competente dietro i più importanti di questi corsi, e dopo 60 ore di corso i discepoli senz’altro se ne usciranno con una maggiore consapevolezza letteraria, che male non fa. Ma risulteranno tutti identici e massificati. La propria voce persa. E dubito ci faranno tutti sto big cash.