La Terra è degli zombi, e gli umani superstiti si rifugiano nella Grande Città circondata dalle acque, la capitale di un mondo oramai in sfacelo, ma che non ha perso le sue abitudini peggiori, compresa la netta distinzione sociale tra le classi. Mentre chi ha denaro vive nel Fiddler's Green, un enorme e lussuoso Centro Commerciale, senza curarsi di ciò che accade fuori dal loro mondo, gli altri sopravvivono nelle strade. In cima alla piramide c'è un uomo con un potere troppo vasto nelle sue mani: Kaufman.
Tornano gli zombi con personalità, i non morti che non corrono, che sembrano facili da evitare e invece ti raggiungono puntualmente, come i rimorsi, similarmente agli spettri del leggendario The Fog di John Carpenter.
Gli zombi siamo noi, la massa cui non viene dato il diritto di esprimere idee autonome, e che a un certo punto, stanca dei soprusi, si ribella.
Una prima visione di questo film lascia quantomeno perplessi: è decisamente un buon film, ottimamente realizzato, ogni elemento – fotografia, effetti speciali, colonna sonora – è perfettamente curato e funzionale alla storia, la recitazione è superiore rispetto agli standard del genere, il messaggio è lineare, corretto e George A. Romero si dimostra in questo molto più “politicamente” coerente rispetto ad altri Mostri Sacri impegnati in questo scorcio di stagione, però… di fatto Land of the dead (La terra dei morti viventi) non è un film horror.
Parlerei piuttosto di un ottimo action movie con qualche scena raccapricciante – il primo paragone “epidermico”, che penso di aver condiviso con molti spettatori, è con 1997, Fuga da New York di John Carpenter - né mancano gli attesi salti adrenalinici sulla poltroncina, ma probabilmente, come sempre nel suo caso, lo scopo del regista non era la distribuzione di cheap thrill e in questo caso molti fan, dell’autore o dello splatter in generale, potrebbero, ragionando a freddo, restare delusi.
Tutto questo non toglie assolutamente valore al film, lasciandomi esprimere la sola remora che, dopo vent’anni, avremmo potuto anche aspettare ancora un po’ e avere qualcosa di inattaccabile e soddisfacente in modo completo.
Tornando ai valori del film, George A. Romero rende omaggio a se stesso e a molti colleghi, non necessariamente nello specifico horror, in maniera aperta e affettuosa, evitando inoltre – è uno dei maggiori pregi del film – le “trappole emotive” in bella evidenza: per fare un esempio, anche se rischio di incappare nello spoiler, seguendo gli immortali cliché di Hollywood non avrei scommesso, fin dal suo primo apparire in scena, sulla sopravvivenza del personaggio di Charlie.
Evitando facili giochi di parole e doppi sensi, questo è un film per palati piuttosto raffinati, realizzato da un cinefilo che non limita il suo amore al genere elettivo: l’evacuazione finale è una citazione del cinema di Sam Pekimpah, dialogo incluso, che mi ha lasciato senza fiato.
Quanto alle attese scene orrorifiche, sono assolutamente finalizzate all’assunto, mai compiacenti e anzi spesso giocate sul chiaroscuro piuttosto che non sull’esplicito, il che dovrebbe mostrare agli epigoni del regista quanto cammino debbano ancora percorrere.
Come osservato altrove, gli zombie sono “simpatici” e il pubblico, volente o nolente, è dalla loro parte raggiungendo addirittura, secondo me, intensi livelli di coinvolgimento emotivo nei loro confronti (se fosse accaduto qualcosa alla coppia di teenager perennemente mano nella mano preferisco ignorare le eventuali reazioni degli spettatori, incluso me); alcuni degli attori impiegati nel ruolo dei morti viventi sono davvero ottimi, peccato soltanto che alcuni di loro si divertano così tanto da farlo troppo evidentemente trasparire di fronte alla macchina da presa (è questo uno dei difetti evidenti che forse un più accurato e meno frettoloso montaggio avrebbe potuto eliminare).
Restando alla recitazione, e ribadendo la quasi perfetta identificazione attori-personaggi, una sorpresa è stata per me costituita da Dennis Hopper, che temevo sopra le righe come sua abitudine: con abilità, mestiere e sapienza, ribadendo il suo credo politico repubblicano, riesce a far trasparire il suo umanissimo odio personale nei confronti di certi sprezzanti arrivisti del suo stesso partito (i miei lettori abituali mi perdoneranno se, anche in questo caso, mi viene in mente la lezione “politica” e soprattutto morale del repubblicano John Ford).
Asia Argento non è più una sorpresa, perfettamente calata nella parte – anche se forse troppo memore di Adrienne Barbeau in ruoli consimili – quanto, purtroppo, eternamente, tetragonamente bisognosa quantomeno di lezioni di dizione. Emotivamente parlando, una menzione d’onore agli interpreti di Charlie e di Big Daddy.
Land of the dead è chiaramente un film “evolutivo” – benché funzioni benissimo anche come opera autoconclusiva – che lascia facilmente indovinare, a meno di non essere smentiti dal prosieguo della saga, dove potrebbe andare a parare; è ricco, a mio parere, di riferimenti a Richard Matheson, amico e ispiratore del regista, che riconducono a uno sviluppo similare a quello di I am legend: Romero, ha sempre dichiarato di avere cominciato la sua carriera dopo aver letto il romanzo di Matheson e vedendone poi la versione cinematografica con Vincent Price, L’ultimo uomo sulla Terra, di Ubaldo Ragona.
Il film non ha ottenuto l’atteso risultato economico, ma è lecito credere nel recupero in Europa, dove Romero conta la maggior parte dei suoi fan, e dove gli amanti dell’horror in generale sono più attenti e meno massificati rispetto a quelli americani.
Unico vero “difetto” della pellicola, lo ribadisco, il suo non essere, strettamente parlando, un vero horror. Non un capolavoro, quindi, ma un buon film decisamente sopra la media stagionale.
Un Romero classico, con sangue, spuntini a base di carne umana e le solite cosette da zombi. Alcuni si fermeranno lì, altri andranno alla ricerca di qualcosa di più.
35 commenti
Aggiungi un commentoMa... al di là del fatto che si possa essere o meno d'accordo con il punto di vista del recensore (io non lo sono), mi pare quantomeno fuori luogo accennare motivazioni politiche oscure e poi dire nel forum che sono state spiegate a qualcuno in privato.
Una recensione dovrebbe essere chiara in tutto e per tutto. Bisogna avere il coraggio di dire quel che si pensa, nel bene o nel male. Dovrebbe essere 'autoconclusiva' come un racconto, senza spin-off in p.m.
Insomma, la recensione mi sembra scritta molto peggio di quanto non sia girato il film.
ci sono anche io tra i sostentiori.
A me è piaciuto molto, ma il quinto, ovvero Diary non mi ispira tantissimo, ovviamente andrò a vederlo, ma ho un po paura che sia una sola.
Boh! Non sono troppo d'accordo con la recensione. Non ho trovato tutto così curato, soprattutto ho trovato molte incongruenze, un Dennis Hopper impiegato malissimo ed un finale di una pacchianità unica. Per me è un film che rimane godibile, se non altro per l'ottimo uso degli effetti e per una storia interessante (ma non indimenticabile), ma nettamente inferiore ai tre precedenti capitoli.
Per me Land è un prodotto di altissima qualità. Le tematiche tipicamente romeriane sono sempre in primo piano, affiancate da una messa in scena ottima e una regia energica e divertentissima, che non si scorda di accontentare gli amanti dell'horror e degli zombie.
Io non vedo nessun sintomo di "fiacca" da parte del buon romero, che trovo più in forma che mai, per nulla appesantito dai tempi commercialissimi che corrono. Anzi, Land of the dead è un film profondamente atipico e ribelle IMHO, tipicamente romeriano, salvo per il rinvigorimento visivo dovuto ai tempi che corrono...
Se proprio devo contestare qualcosa, di sicuro la presenza di una Asia Argento più raccomandata (e peggio doppiata) che mai... E anche un abuso di CGI (mediocre) in un paio di scene... Tutto qui. Per il resto, Land of the dead è ottimo IMHO.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID