Angela. L’interno del suo corpo, dove la sua anima si muove, ascolta ed urla tutto il suo tormento. La vera Angela, quella che conosce il suo stato e prega Dio ogni giorno affinché Lui ponga fine a quello strazio. Quella che chiede pietà ogni volta che il padre si avvicina, che si contorce quando lui abusa del suo corpo inerme e piagato. Angela che patisce i dolori del travaglio, che piange e grida con quanto fiato ha in gola quando la mammana le strappa via senza misericordia quella creatura non richiesta ma che lei amava perché era sua, carne sua, anima sua.

E la donna, sua madre, ora sta guardando e provando tutta la sofferenza della figlia.

Basta, per carità! Basta! BASTA! Basta…

Cambia la scena. Non è più nel corpo di Angela ma in quello del neonato deforme. Si vede sospeso nel vuoto. Ha paura, del vuoto. E vede il suo stesso volto, quello di una donna accecata dall’insania che tiene, a braccia tese, il suo corpicino penzolante sulla bocca del Vesuvio. Ad un tratto lo lascia cadere. NOOOO! Il volo sembra non finire mai, il volto della donna si fa sempre più piccolo. Poi l’impatto col suolo. Un dolore atroce, indicibile, che esplode in ogni centimetro di quel corpo già martoriato dalla sorte con la forza di un’atomica.

Ti scongiuro, basta… perdono! Perdono!

La scena cambia ancora. Non capisce dove si trova. E’ una stanza piccola e scorticata, ci sono delle scritte incise sui muri, un vecchio tavolino di formica, una finestra con una grata… E’ in galera! E lei dev’essere dentro suo marito. Il ciclope ha attraversato il portone blindato come se fosse d’acqua. Nessun altro può vederlo. Gli si avvicina, lui/lei urla ma nessun altro capisce perché. Con la mano sana gli sfonda il petto (dolore!), abbranca il cuore che palpita come impazzito (dolore!) e glielo stritola.

L’hai ammazzato…

Il ciclope molla la presa, lasciando che la donna si raggomitoli su se stessa, ancora in preda agli spasmi. Le sue lacrime si mescolano alla pioggia che ora scende copiosa.

Ma tu chi sei?

Che importa… angelo o demonio, lo scoprirai tu stessa. Ti porto a casa. Solo che non sarà la tua casa, ma la mia. Angela vivrà in pace, d’ora in poi.

Non attende una risposta. Il ciclope l’afferra di nuovo, dal collo stavolta, e la solleva come un fuscello. Camminando sui moncherini sanguinanti la porta fin sul cratere del vulcano. La bocca del Vesuvio, calda e profonda. La donna non può reagire, la stretta le impedisce perfino di respirare. Può soltanto guardare il ciclope nell’occhio sbilenco, dove i colori vorticano e si avvitano gli uni sugli altri, pregando che quel vortice risucchi anche lei prima che il suo corpo tocchi terra.