Horror Magazine ha incontrato Nicola Lombardi, una delle firme più autorevoli dell’horror italiano. Autore, saggista, curatore e traduttore, abbiamo parlato con lui dell'ultimo racconto firmato insieme a Ramsey Campbell e dei suoi progetti futuri.
Ciao Nicola, grazie per aver accettato il nostro invito. Lo scorso anno Ombre, 17 racconti del terrore, la tua prima raccolta di racconti horror, ha compiuto 30 anni. Quali sono stati i libri e gli autori che ti hanno spinto a diventare uno scrittore e in che modo hanno influenzato la tua opera?
Ho sempre avuto fin da bambino una particolare inclinazione verso la narrazione; mi sono sempre divertito a inventare storie, e a raccontarle. Soprattutto storie spaventose, inutile sottolinearlo. Non ritengo pertanto che ci sia un libro o un autore particolare a cui io possa accreditare lo stimolo decisivo per la mia attività di scrittore, che avrei intrapreso comunque. Certo, ci sono autori che poi hanno senz’altro influenzato il mio stile e le mie ispirazioni, questo sì. Ho cominciato a frequentare come lettore la letteratura di genere all’età di tredici anni, attraverso i grandi classici (Poe, Lovecraft, Stoker, Stevenson…), ma gli autori che riconosco essere i miei numi tutelari rispondono a nomi quali Ray Bradbury, Richard Matheson, Fritz Leiber, Ramsey Campbell, Robert Bloch, e – per rimanere in patria – Dino Buzzati.
I tuoi lavori sono contraddistinti da una particolare cura dello stile e delle atmosfere. Quanto c’è della provincia padana nella costruzione delle tue ambientazioni? Possiamo dire che la bassa è il tuo Maine?
Possiamo dirlo, sì. Gli ambienti naturali e rurali in cui sono cresciuto – la campagna ferrarese e dintorni – mi hanno offerto subito uno sfondo ideale per le mie fantasie macabre, anche perché è proprio su tali scenari che si consumavano le storie nere che ascoltavo narrare da bambino, e che poi immancabilmente si traducevano per me in incubi e in spunti troppo allettanti per non continuare a rimuginarci sopra. Ecco il motivo per cui tanta mia produzione può rientrare senz’altro nel filone conosciuto come ‘gotico rurale’, reso popolarissimo sul piano letterario da Eraldo Baldini e altri grandi autori.
E proprio insieme a nomi illustri come Eraldo Baldini, Danilo Arona e Pupi Avati, puoi essere considerato tra i precursori dell’horror rurale, genere che in questi ultimi anni sta riscuotendo sempre più successo. Quando hai iniziato la tua carriera di scrittore però la situazione era ben diversa. Perché hai scelto di intraprendere un percorso simile?
Veramente non si è trattata di una scelta, o almeno non di una scelta consapevole. L’horror come ‘forma mentis’ era, ed è, un presupposto della mia personalità, un aspetto che ho sempre vissuto come un dato di fatto. Per quanto riguarda invece le ambientazioni e lo spirito delle mie invenzioni narrative, come ho detto prima, derivano in maniera preponderante dalla cornice in cui ho vissuto infanzia e adolescenza. In pratica, non mi sono mai posto il problema di capire cosa il lettore volesse, o voglia, farsi raccontare, magari perché un certo tema va di moda, ma piuttosto di proporre sempre, in tutta onestà, ciò che mi passa per la testa. (Naturalmente, è bene specificare che posso permettermi di non seguire i gusti del mercato perché non sono uno scrittore professionista).
Nel corso della tua lunga carriera hai firmato sia racconti che romanzi. Qual è, tra le due, la forma narrativa che preferisci? Quale ti permette di esprimerti al meglio?
Non avendo tanto tempo libero a disposizione per scrivere, direi che per una pura questione di praticità la forma del racconto è quella che trovo più comoda, poiché mi consente di produrre una maggiore e più variegata gamma di storie con le quali posso così soddisfare varie commissioni. Sono comunque riuscito a ritagliarmi gli spazi per scrivere anche alcuni romanzi, dal momento che le storie in questione presentavano uno sviluppo piuttosto articolato, e quindi richiedevano un’attenzione di più ampio respiro. Al di là di considerazioni di ordine pratico, comunque, credo che sia la natura stessa dell’idea a dettare la propria forma ideale; lo si avverte subito, quando un’idea è sacrificata entro i limiti del racconto, per cui ecco che l’apertura al romanzo diviene non più una scelta, ma una necessità.
Da qualche anno hai fatto il tuo ingresso sul mercato internazionale. Le tue opere sono state pubblicate da prestigiose riviste, inserite all’interno di importanti antologie, il tuo romanzo La cisterna è stato selezionato tra i Preliminary Ballot dei Bram Stoker Awards®. Di recente hai firmato insieme a Ramsey Campbell il racconto In A Pale, Rainy Morning, inserito nel settimo libro The Horror Collection, edito da Kjk Publishing. Ti va di raccontarci qualcosa in più su questo tuo ultimo lavoro? Sarà tradotto in italiano?
Quello di poter firmare un racconto assieme a un mito del calibro di Ramsey Campbell è stato per me il vero coronamento di un sogno, essendo lui uno dei primi autori che ho incontrato quando ho cominciato a esplorare l’immane panorama della narrativa horror. Devo dire che Campbell si è dimostrato estremamente disponibile nei miei confronti. Aveva già letto qualcosa di mio, e mi ha volentieri messo a disposizione un abbozzo di racconto (4/5 pagine) da lui iniziato e poi lasciato in un cassetto; mi ha informato a grandi linee circa l’idea che aveva in mente, lasciandomi però perfettamente libero di seguirle o meno. E così mi sono messo all’opera, cercando di mediare gli spunti forniti con quanto invece mi suggeriva la mia fantasia. Il risultato è appunto "In a Pale, Rainy Morning", che narra di un gruppo di anziani isolati in una casa di riposo mentre il mondo, fuori, sta scivolando nell’incubo di un’incomprensibile invasione (esseri ultradimensionali che sfruttano le onde emesse dai cellulari per possedere le menti e i corpi delle persone, tramutandole in oscene mostruosità). Il racconto – scritto in italiano e poi tradotto da Joe Weintraub, il mio ormai storico traduttore americano – ha ottenuto la piena approvazione di Campbell, e Kevin Kennedy della KJK Publishing è stato molto lieto di inserirlo nella sua ultima antologia. Per quanto riguarda un’edizione italiana del racconto (In un pallido mattino di pioggia), mi sto già organizzando per pubblicarlo entro l’anno.
Non solo una delle più autorevoli voci dell’horror nazionale e internazionale, nella tua carriera hai anche tradotto importanti romanzi e saggi di genere. Qual è stata, se c’è stata, la difficoltà maggiore nell’approcciarsi al lavoro di un altro autore?
La difficoltà maggiore, per me, quando traduco, sta nel porre attenzione a reprimere il mio personale stile narrativo e di non perdere mai di vista quello dell’altro autore. Certo, quello della fedeltà di una traduzione letteraria è un problema annoso, lo sappiamo; in ogni modo, io cerco sempre di ricordarmi che la domanda giusta, quando comincio una traduzione, è: “Come scriverei questa storia in italiano, se fossi lui/lei?” e non “Come scriverebbe lui/lei, in italiano, se fosse me?” Ed è ogni volta un’esperienza stimolante, oltre che istruttiva.
Ora una domanda piuttosto impegnativa. Quali sono secondo te le caratteristiche del perfetto racconto horror? E più in generale, cos’è che rende una storia una buona storia?
Difficile dire quale racconto possa essere definito ‘perfetto’, mancando nell’arte precisi parametri oggettivi. Per esempio, un certo racconto potrebbe entusiasmare me, ma lasciare indifferente un altro lettore; e questo vale per la letteratura come per la musica, la pittura, il cinema… Comunque, limitandomi a esprimere la mia personalissima opinione, posso dirti che un buon racconto dell’orrore contemporaneo deve ruotare attorno a un’idea il più possibile originale, evitando ogni sviluppo prevedibile; deve catturare il lettore fin dalla prima pagina, e tagliare tutto ciò che è inutile per l’economia del racconto o che non contribuisce a suscitare alcuna particolare emozione; deve dosare con cura gli elementi a disposizione, lasciando che il ‘non detto’ possa venir colmato spontaneamente dal lettore, il quale arriva sempre a modellare ogni ‘vuoto’ sulla base della propria sensibilità. Se un racconto raggruppa in sé questi elementi, rientra per me nella categoria dei memorabili. Ci sono racconti che ho letto venti, trent’anni fa, e ancora mi restano in testa; altri, invece, letti magari il mese scorso, non hanno lasciato alcuna traccia.
Ti ringraziamo per averci dedicato del tempo e chiudiamo l’intervista con l’ultima domanda di rito: quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Attualmente sto lavorando a diversi progetti. Insieme a Luigi Boccia sto completando la nuova stesura di un giallo storico e curando un’antologia di racconti gialli/noir. Ho poi in cantiere una raccolta personale di racconti ambientati nell’allucinante universo dei Grandi Antichi lovecraftiani, e nell’attesa che compaiano miei nuovi racconti inseriti in varie antologie in uscita (tra cui un’altra collaborazione eccellente, con l’autrice neozelandese Lee Murray) sto seguendo con molto interesse l’avanzamento della traduzione americana del mio romanzo "I ragni zingari". Insomma, c’è sempre carne al fuoco, e orrore all’orizzonte.
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