Il contatto con le fiamme rivela quegli esseri per ciò che sono in realtà: vuoti involucri di carne putrescente che brucia esalando miasmi, impregnando per sempre l’aria divenuta immobile e pesante come la tenebra che grava su tutto.

Ti avvii lungo la tua strada schiacciando indifferente le deboli forme d’ombra che intralciano il cammino.

Nudi, alcuni non uomini ti sbarrano la strada: li osservi senza lasciar trapelare alcuna espressione dal tuo volto annerito dal fumo di innumerevoli roghi. Dopotutto sarebbe inutile: pur avendone vagamente le sembianze, essi non sono uomini e non potrebbero mai interpretare un sorriso o anche solo una smorfia di disgusto.

Non puoi però limitarti a calpestarli, o demone; si rialzerebbero subito e si avvinghierebbero alle tue gambe, speranzosi di carpire almeno un frammento di ciò che ti anima e che ti spinge ad andare avanti e a incedere eretto, come un tempo facevano loro, prima che la tenebra li schiacciasse.

Ben sai che se anche potessero toccare con mano ciò a cui anelano, nulla troverebbero in te: solo un vuoto insondabile che hai rinchiuso nel profondo e che rifiuti di far riemergere.

Già una volta quel vuoto ti ha assalito, lo hai affrontato, ed entrambi ne siete usciti sconfitti. Rinchiuso e celato là dove nessuno potrà mai riportarlo alla luce, l’hai bandito con due colpi di pistola, uccidendo però in tal modo la tua stessa umanità.

Allo stesso modo la pressione del tuo dito sul grilletto apre fori di sangue nelle creature che strisciano di fronte a te sbarrandoti la via. Cadono in preda ai sussulti di quella seconda morte, la morte del corpo, la sola che tu sappia impartire, l’unica conosciuta all’uomo prima dell’avvento del terrore strisciante. Cadono e non si rialzano, sbranati subito dai loro simili per nulla impauriti, incapaci di provare alcuna paura, alcun sentimento se non il totale terrore in cui vivono e che è per loro nuova e unica condizione d’essere. Precipitano, e i loro corpi martoriati e sbranati rimarranno a lungo tra le rovine della città senza nome: i resti della vita umana tra i residui di quanto quella esistenza ha edificato in passato.

Passato.

Tu, demone, non hai più né storia né futuro. Vivi solo, senza una meta, il tuo eterno viaggio di perdizione e annientamento, alimentato dallo stesso vuoto che cerca di sopraffarti, ma che ti dà forza e impedisce di abbandonarti al richiamo degli abomini scaturiti dal pozzo che tu stesso, uomo, hai scoperchiato, liberando orrori che mai l’uomo avrebbe potuto sopportare e che solo un umano orrore, la guerra, ha saputo portare alla luce.

Il passato giace dietro di te. L’hai abbandonato lungo la strada della vendetta, cancellato nel momento stesso in cui hai puntato l’arma contro il tuo futuro, vivo nelle sembianze di tuo figlio, anch’esso divenuto debole pupazzo privato della sua umanità, dominato solo dalla sete di sogni altrui, perché i suoi li aveva persi per sempre. In quell’eterno istante il vuoto ti ha aggredito, hai sentito defluire ogni speranza; nonostante tutto, hai saputo ugualmente esercitare la necessaria pressione su quel grilletto che ti ha reso demone.

Perché eri un uomo quando, soldato, guerriero che con la morte aveva imparato a convivere, liberasti e cagionasti al mondo intero un destino peggiore della morte.

Là, nella fenditura apertasi nella montagna in seguito al bombardamento aereo, là, in quella stretta spaccatura, intravedesti un baluginare metallico. Vi addentraste, tu e i tuoi compagni, in quel monte che tra molti altri non si distingueva, ergendosi anonimo nel vasto deserto dove stavate combattendo la vostra inutile guerra. La sabbia cedette alla fredda pietra, neri contrafforti d’alabastro sostituirono la dorata roccia del deserto, una nuova città si dischiuse di fronte a voi.

Nuova perché diversa in un modo che tu stesso ora non sapresti ricordare, perché rammentare significherebbe per te la follia. L’uomo non può pensare ciò che non è fatto per essere da lui cogitato. Tuttavia non è detto che non esista ciò che non si può concepire, creato da entità talmente aliene da indurre chiunque le incontri alla morte, o peggio. E così tu e i tuoi compagni foste in grado di vedere quella città, ma non di comprenderla.

In quel luogo non vi era metallo, bensì migliaia di pietre incastonate ovunque nelle oscure pareti di edifici che non appartenevano a un mondo di luce, schegge che spiavano i vostri passi come mute sentinelle.