È proprio vero che l’arte deriva spesso da uno stato di malessere e di disagio che spinge l’artista a creare una rappresentazione della vita piuttosto che viverla. E quando suddetto artista comincia a stare meglio, quando comincia finalmente a vivere, ecco che spesso le sue creazioni ne risentono in maniera negativa.

Prendete Trent Reznor.

Viaggiava di depressione in depressione. Si cullava fra le ali nere dei corvi di baudeleiriana memoria. Preferiva rimanere isolato e chiuso fra le sue mura, a ripulire ossessivamente i suoi parti musicali, traccia dopo traccia, mix dopo mix. E fiorivano i capolavori.

Poi l’alcoolismo, la droga.

Ora si è dato una ripulita, ha raccolto forze e coscienza, ha acquisito nuova percezione di sé e del mondo... e cosa succede? Se ne esce con un disco che, lungi dall’essere brutto o inascoltabile, non aggiunge assolutamente nulla al discorso musicale portato avanti fino a questo punto dai Nine Inch Nails.

Grande produzione, profonda conoscenza del ritmo e delle melodie adatte ad affascinare il suo pubblico e… che altro? La musica sembra rimasta tale e quale quella di ben 10 anni fa, è sparita la voglia di osare che è alla base dell’intero movimento industriale. Tutto è rimasto cristallizzato, persino il cantato di Reznor che continua ancora adesso, sulla soglia dei quaranta, a parlare di angst giovanile, difficili amori e facili ribellioni francamente, ci spiace farlo notare, fuori tempo massimo.

Beninteso, un grammo della classe di Reznor è superiore all’intera produzione discografica di tanti gruppi celebrati come “leader” della (supposta) scena rock industriale, e non stiamo nemmeno parlando di calcolata e fredda operazione di “ammorbidimento” dei suoni per tentare di raccogliere una fetta di pubblico ancora più grossa, sfruttando la sponda del nu-metal e del successo del suo figlioccio Marilyn Manson.

Nulla di tutto questo. Si ha piuttosto l’impressione che, a fronte di un bagaglio tecnico ed emotivo davvero enorme, al buon Trent siano venute a mancare le motivazioni, il fuoco sacro, e si sia limitato a svolgere il suo periodico compitino a casa che, visto l’autore in discussione, rimane sempre e comunque un compitino di lusso.

Ma manca il cuore (di vetro?), manca il fegato, mancano le viscere. E senza le viscere spariscono coraggio e morbosità. Noi che seguiamo i NIN fin dal 1989 possiamo e dobbiamo accogliere questo With Teeth con il rispetto dovuto, ma possiamo e dobbiamo sperare in qualcosa di più vivo e vibrante nel futuro del grande Trent Reznor.

Da notare come anche in questo caso riesca a fare la sua comparsata dietro le pelli quel prezzemolino di Dave Grohl. Mezza stelletta in più in ricordo delle carine macchine d’odio e delle spirali discendenti.

Head like a hole, forever.

TRACKLIST:

1 All the Love in the World 5:15

2 You Know What You Are? 3:41

3 The Collector 3:07

4 The Hand That Feeds 3:31

5 Love Is Not Enough 3:41

6 Every Day Is Exactly the Same 4:54

7 With Teeth 5:37

8 Only 4:23

9 Getting Smaller 3:35

10 Sunspots 4:03

11 The Line Begins to Blur 3:44

12 Beside You in Time 5:24

13 Right Where It Belongs 5:04