Il sogno è la morte
L'analisi della morte veniva raccontata da Poe proprio nell'incubo psicologico in cui il reale si fondeva magistralmente con il sogno nella dissociazione mentale del protagonista che, immerso in un labirinto quasi senza tempo, agiva con lucida follia in un diabolico piano di morte. L' anima e la morte venivano follemente e razionalmente intrecciati nell'incubo. Quanto più scendiamo nell'abisso dell'anima tanto più finiamo per scorgere la morte. In perfetta simbiosi con l'affermazione di Hillman il quale sostiene che il «sogno è l'anima e l'anima è morte». Il legame tra il sogno e la morte è antichissimo e non a caso per i primitivi il mondo dei sogni è il mondo dei morti. Tale concetto riaffiora nella psicoanalisi di Hillman che, esagerando nel rifiutare nettamente l'idea freudiana dell' inconscio come manifestazione delle repressioni diurne, vede nel sogno solo l' Ades, ovvero il regno dei morti, il “mondo infero” governato dagli dei o dai miti dell'antica Grecia.
Secondo me, l'interpretazione dell'arte poesca ben si addice a quell'immaginario mitologico proposto da Hillman con la sua “psicologia dell'antichità” perché i sogni emergono dal quel regno dei morti in cui dimora l'anima. Basta pensare al racconto Ligeia in cui il protagonista di notte scorge un'ombra dietro il riflesso dell'incensiere quasi a indicare l'anima che vaga nel regno dei morti. Non a caso, nell'universo onirico di Poe permaneva spesso il mito ancestrale come richiamo simbolico della morte dove si sviluppava proprio il “terrore dell'anima”.
Un'altra caratteristica che possiamo associare tra il grande narratore e il pensiero di Hillman consiste nel constatare che le immagini oniriche siano dirette verso un obiettivo finale, vale a dire che i simboli, tipo quelli degli animali che negli incubi di Poe appaiono come gatti neri o cavalli, perseguono una finalità specifica protesa verso la morte. Questa associazione è fattibile perché nella psicoanalisi le figure dei sogni hanno una specifica premeditazione. Quando si entra nel “mondo infero” di Hillman sembra quasi di entrare nel “mondo infero” di Poe visto che la comprensione del sogno dello psicoanalista si avvicina all'interpretazione degli incubi dello scrittore, proprio nel contesto legato al processo di individuazione del simbolo, che nell'arte poesca appare spesso come immagine gotica.
Un autore che possiamo accostare, per quanto riguarda il genere metafisico e simbolico, allo scrittore americano è Franz Kafka (1883 -1924) proprio a causa del legame tra sogno, realtà e mito. Esiste una certa affinità tra le figure come il castello o il cavallo presenti nell'arte kafkiana e poesca. Kafka descrive nel racconto Un medico di campagna (Ein Landarzt,1916-17) dei cavalli non terreni, potenti e indomabili che somigliano al misterioso destriero di Metzengerstein.
Il visionario
Secondo Poe, colui che sognava a occhi aperti sviluppava molta fantasia ed era in grado di comprendere la realtà nella sua complessità al prezzo di uno stato di dissociazione visionaria diretta a esprimere una "suprema forma d'intelligenza". Gli stati di alterazione psichica erano un mezzo per sviluppare fantasia creativa perché permettevano all'inconscio di emergere vertiginosamente nella sfera percettiva. Una caratteristica della percezione geniale consiste nella compenetrazione tra sogno e realtà provocata da stati mentali alterati, forse dovuti a traumi psicologici o all'assunzione di sostanze stupefacenti, in cui avviene la dissociazione dal reale. Carl Gustav Jung (1875-1961) analizza ottimamente il fenomeno in cui l'individuo perde la cognizione della realtà per lasciare spazio all'inconscio.
La forze eruttate dalla psiche collettiva portano confusione e cecità mentale. Una conseguenza della dissoluzione della persona è lo scatenamento della fantasia che, evidentemente, è né più né meno che l'attività specifica della psiche collettiva. Questa irruzione di elementi fantastici introduce violentemente nella coscienza materiali e impulsi della cui esistenza non si aveva alcun sospetto. Si scoprono tutti i tesori del pensiero e del sentimento mitologico. Non è sempre facile resistere a impressioni talmente travolgenti. Questa fase va annoverata tra quelle che rappresentano un vero pericolo nel corso dell'analisi, pericolo da non sottovalutarsi.
Si comprenderà facilmente come questa condizione sia talmente insopportabile che l'individuo desidera porvi termine al più presto possibile, dato che la somiglianza con l'alienazione mentale è finanche troppo stretta. Come è noto, la forma più comune di pazzia , la demenza precoce o schizofrenia, consiste essenzialmente nel fatto che l'inconscio espelle e soppianta, in larga misura, le funzioni della mente cosciente. L'inconscio usurpa le funzioni del reale e vi sostituisce una propria realtà. I pensieri inconsci diventano udibili sotto forma di voci, oppure sono percepiti come illusioni o allucinazioni corporee, ovvero si manifestano sotto forma di giudizi insensati, ma irremovibili, sostenuti in opposizioni alla realtà.
Allorché la persona si dissolve nella psiche collettiva, l'inconscio viene spinto entro la coscienza in un modo simile, ma non identico. L'unica differenza rispetto allo stato di alienazione mentale è che l'inconscio viene portato in superficie mediante l'analisi cosciente; almeno questo è ciò che accade al principio dell'analisi, quando si devono ancora superare forti resistenze di ordine culturale. Più tardi, dopo l'abbattimento di barriere erette nel corso di anni, l'inconscio invade la coscienza spontaneamente e talvolta irrompe nella mente come una fiumana. In questa fase la somiglianza con l'alienazione mentale è strettissima. Però si tratterebbe di vera follia solo se i contenuti dell'inconscio diventassero una realtà che prendesse il posto della realtà cosciente; in altri termini, se il soggetto vi prestasse fede senza riserve.
Solo una mente preparata come quella di Poe era pronta ad accogliere le invasioni dell'inconscio senza crollare completamente nella totale alienazione mentale perché lo scrittore era genialmente in grado di sfruttare la disfunzione percettiva come mezzo conoscitivo della realtà, servendosi dell'analisi razionale della propria fantasia. Di conseguenza, Poe non era uno schizofrenico che aveva completamente perduto il senso del reale ma piuttosto era un forte visionario, pieno di talento, capace di interpretare coscientemente le proprie visioni. L'analisi junghiana sulla dissociazione della realtà con particolare visioni trova quasi un certo riscontro quando lo scrittore descriveva il suo stato mentale nei momenti in cui "sognava a occhi aperti" nel saggio Marginalia, facendo proprio riferimento in modo impreciso a delle improvvise “fantasie”.
Esiste tuttavia una categorie di fantasie sottilissime e delicate, che non sono pensieri e a cui finora ho trovato assolutamente impossibile adattare la lingua. Uso a caso la parola fantasie, perché devo usare una parola; ma il concetto che generalmente si collega con questo termine non è neppure lontanamente riferibile alle ombre di cui sto parlando. A me sembrano di natura psichica, piuttosto che intellettuale. Insorgono nella mente (quanto di rado,purtroppo!)soltanto nei periodi di tranquillità intensa, di perfetta salute fisica e mentale ed esclusivamente nei momenti di fusione, e trapasso, fra i confini del mondo desto e di quello dei sogni. Di queste fantasie mi rendo conto solo quando sono proprio sull'orlo del sonno, e sono consapevole del mio stato. Sono andato persuadendomi che questa condizione esiste solo per un immisurabile lasso di tempo, che pure riesce ad affollarsi di queste ombre di ombre: mentre per un pensiero risolto è necessaria una certa durata nel tempo. Queste Fantasie comportano un piacevole stato estatico, che supera di tanto i massimi piaceri del mondo della veglia e di quello dei sogni, quanto il paradiso dei Normanni supera il loro inferno. Man mano che insorgono queste visioni io mi metto a considerarle con un rispettoche, in qualche misura, modera e placa l'estasi.
Un'analisi molto importante adatta alla vena artistica dello scrittore americano e simile a quella di Jung, dove lo stato dissociativo nevrotico della psiche aiuta l'artista a comprendere profondamente la dimensione labirintica del reale,ci viene data dallo psicoanalista Augusto Romano in un saggio riferito proprio a Poe.
Fuor di metafora, il tesoro è la libido inconscia, le energie creative che giacciono nel profondo e che le strutture di un mondo ordinato e di una salda coscienza tendono a rifiutare. Questo rifiuto ha molte e fondate ragioni,giacché il rischio è grave e si chiama inflazione psichica e psicosi. D'altro canto la vita non alimenta da energie nuove man mano si inaridisce e si spegne. Non a caso Jung ha messo in evidenza la funzione in qualche modo positiva della nevrosi, intesa come tentativo estremo della totalità psichica di richiamare l'Io a una maggiore integrazione dei processi inconsci e ,di conseguenza, ad una più articolata visione della realtà. La condizione umana è, da questo fondamentale punto di vista, drammatica e contraddittoria, giacché l'uomo è combattuto tra l'esigenza di conservare il contatto con l'inconscio e il pericolo di esserne riassorbito.
Bibliografia
J. Hillman, Il sogno e il mondo infero, Est, 1996, pag. 9
Carl Gustav Jung, Inconscio, occultismo e magia, Newton Compton editori, Roma, 1985, pag. 167-168
E.A. Poe, Marginalia in Filosofia della composizione e altri saggi, Napoli, Guida,1986, pag. 89
Augusto Romano, Poe e la psicologia analitica junghiana: nostalgia delle origini e immagini del femminile in E.A. Poe dal gotico alla fantascienza, Mursia, pag. 267
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