Ciao Adriano, benvenuto su Horror Magazine. Uno in diviso (Tunué) è la tua ultima graphic novel, tratta dall’omonimo romanzo di Alcìde Pierantozzi, e disegnata da Fabrizio Dori. Com’è nasce questo progetto e l’idea di adattarla a fumetti?

L’idea di adattare il romanzo a fumetti è nata da Tunuè. Massimiliano Clemente, il direttore editoriale della casa editrice mi ha contattato pensando che potessi essere l’autore adatto, dato che il testo originale (parole sue) era “molto violento”.

Uno in diviso è “un incubo di cattiveria e disperazione, un viaggio nella violenza che porta dritta verso la dannazione”. Come autore, che aspetto pensi ti rappresenti di più dell’opera, ci sono degli elementi che hai portato dal tuo mondo narrativo a quello di Pierantozzi? Come hai lavorato con Fabrizio Dori per la trasposizione?

Direi la rappresentazione della violenza estrema e della deformazione corporea, l’atmosfera surreale, da incubo e le simbologie religiose.

Con Fabrizio ho collaborato a stretto contatto già durante la stesura della sceneggiatura: appena scritta una sequenza, gliela inviavo, chiedendogli se notasse da subito problemi nella rappresentabilità di certe scene o nella costruzione del layout. Di fatto la prima stesura era già stata visionata da lui, in modo che non ci fossero sorprese che avrebbero potuto rallentare il lavoro.

Sei nel team degli autori della rinata Splatter, rivista ideata da Paolo Di Orazio. Come sei stato coinvolto nel progetto e che cosa ci puoi dire della tua storia “Crisalide” realizzata in collaborazione con Fabio Babich, contenuta nel primo numero?

Semplicemente Paolo Di Orazio mi chiamò dicendomi che mi voleva in squadra, mi mandò “la bibbia” dei contenuti del nuovo Splatter, e mi disse quante pagine avevo a disposizione ed entro quando le voleva. Mi fu proposto un disegnatore ma chiesi invece di poter lavorare con Fabio Babich, e non ci furono problemi al riguardo.

Riguardo “Crisalide”, mi sono posto il problema di come poter rappresentare lo splatter oggi e renderlo efficace tramite il fumetto.

Quindi ho deciso di analizzare la tematica del SIB (self-injurious behavior), dato che mi affascina l’idea del dolore autoinflitto, e pensavo che partire da una situazione quotidiana, credibile e reale, e di terminare con un crescendo che credo sia disgustoso e poetico allo stesso tempo.

Inoltre mi sono detto che se avessimo raccontato tutta la storia in soggettiva, avremmo costretto il lettore a stare “dentro” il racconto e a sentire le ferite della protagonista in diretta. L’obiettivo era creare un maggior coinvolgimento emotivo del lettore. Dalle reazioni favorevoli del pubblico, direi che erano intuizioni giuste.

Sempre in collaborazione con il disegnatore Fabio Babich hai pubblicato, nel 2011, Bugs - gli insetti dentro di me, altra graphic novel, che è stata definita, di volta in volta: “strana, inconsueta, ironica, un mix di generi”. Sei partito da un racconto di Julio Cortàzar per poi sviluppare l’idea, caratterizzandola anche con citazioni e riferimenti intertestuali. Com’è nato e come si è sviluppato questo progetto?

Non me lo ricordo. Senz’altro nasce dalla volontà di fare un film su carta che riprenda l’alternanza di tono tipica del cinema del Far East, che mescola senza soluzione di continuità commedia e/o dramma e/o orrore nella stessa pellicola. In particolare avevo in mente i film di Yakuza di Takashi Miike. Lo spunto fu il racconto “Circe” di Julio Cortàzar, la cui protagonista serve pasticcini ripieni d’insetti ai suoi aspiranti fidanzati. Tutti la definiscono “pazza”, nel racconto. Secondo me invece aveva un piano ben preciso che racconto nel fumetto.

Fabio Babich lo beccai al Festival della BD di Angouleme nel 2010 che vagava per l’area BD alternativa col suo portfolio. Quando mi disse che un editore francese gli aveva detto che i suoi lavori erano interessanti, chiesi di poter dare un occhio. Effettivamente i disegni erano splendidi, e gli promisi che se avessimo collaborato, avrebbe pubblicato un volume. Promessa mantenuta, e con quel volume Fabio ha vinto anche il Premio Carlo Boscarato come miglior esordiente.

Andando ancora a ritroso nel tempo cito due opere fondamentali per il tuo percorso nel campo fumettistico, L'Era dei Titani su disegni di Massimo Dall'Oglio, una graphic novel che piacerebbe sicuramente a Guillermo Del Toro con il suo Pacific Rim, e Tipologie di un amore fantasma su disegni di Mauro Cao dove parli di relazioni sentimentali e di amore. Opere molto diverse tra di loro, ma in cui, in entrambe, esplori la “condizione umana”. È cosi? Che cosa ci puoi dire a riguardo?

Sono opere nate da motivazioni diverse. Con L’Era dei Titani volevo omaggiare gli anime di robot giganti rendendoli allo stesso tempo più realistici, ed è quello che ho tentato di fare con una protagonista adulta e addestrata a fare la pilota (e non un ragazzino che sale casualmente sul robot gigante e magicamente sa già pilotarlo) e con il “Contagio”, la malattia che deforma chi colpisce.

Non so se Del Toro apprezzerebbe l’Era dei Titani, ma Pacific Rim è un film che ho trovato pieno di buchi di logica e con personaggi poco interessanti, oltre che un film che fraintende totalmente i tòpoi del “sottogenere” robot giganti.

L’Era dei Titani è un progetto che io e Massimo Dall’Oglio avremmo voluto riprendere, ma il successo planetario di “L’attacco dei giganti” (manga e anime) ci ha fatto desistere: troppe similitudini, nonostante il manga sia incredibilmente iniziato in Giappone nel 2009, stesso anno di pubblicazione de “L’era dei Titani” e noi non ne sapessimo assolutamente nulla all’epoca (in realtà il concept dei Titani risale almeno al 2003). Ma questa è la differenza tra pubblicare in Giappone per Kodansha e in Italia per un piccolo editore. Pazienza, di progetti in testa ne ho mille.

Tipologie di un amore fantasma mi fu chiesto da Paolo Castaldi per Edizioni Voilier. La sua richiesta fu più o meno “un fumetto che non avrebbe potuto trovare tra le pubblicazioni di nessun’altra casa editrice”. Allora ho deciso di scrivere questa riflessione post-moderna sull’amore non corrisposto, un tema che mi sta molto a cuore, con una struttura “Mise en abyme” e non preoccupandomi in caso avessi sovraccaricato di testo alcune tavole. In un certo senso avevo in mente i film di Wong Kar Wai del periodo 1994-1997, da Chungking Express a Happy Together: film “di regia”, con una storia esile, sostenuti solo dal fascino dei personaggi, la cui personalità viene analizzata approfonditamente, e dalla regia ricercatissima. Il risultato, però, contrariamente alla leggerezza dei film di Wong Kar Wai, è stato un fumetto molto ostico, di difficile lettura, ma – mi hanno confermato i lettori – di un impatto emotivo molto forte. E va bene così. Se scrivo un progetto personale, evito accuratamente di produrre fumetti che possano essere letti al cesso.

In campo narrativo il tuo esordio è stato con l’antologia Carni (e)strane(e) (con racconti che spaziano dall'horror, la bizarro fiction e il new weird: nella collana Epix di Mondadori. I racconti sono il modo migliore per gli scrittori di esordire (e saggiare le proprie capacità), ma purtroppo, in Italia le antologie (in special modo horror) non sembrano godere del successo di pubblico. La stessa collana Epix è stata chiusa dopo solo 15 numeri e oggi, l’horror fa fatica a ricomparire in edicola. Cosa ne pensi e cosa ci puoi dire di Carni (e)strane(e)?

Carni (e)strane(e) era una raccolta personale e non un’antologia, e credo che una raccolta rispetto a un’antologia offra una coerenza maggiore.

Ma in generale tutte le raccolte di racconti vengono definite “antologia”… Comunque credo che le antologie vendano poco perché si tende a inserire nella line up autori di richiamo che a volte consegnano racconti di merda, ma una volta che li hai messi sotto contratto non puoi tornare indietro, puoi solo fare del tuo meglio per sistemare un pessimo racconto, e il danno è fatto. D’altro canto, se venissero chiamati autori di minor richiamo non è detto che la qualità sarebbe migliore (anche se un autore meno conosciuto forse si sbatterebbe per offrire un racconto di altissima qualità come biglietto da visita), e comunque ci sarebbe – a livello promozionale - meno attrattiva per il pubblico, quindi il libro avrebbe minori possibilità di vendita. Aggiungiamo che gli editori sono convinti che le antologie non vendano, quindi non è che si sbattano più di tanto per crearle prima e per promuoverle poi.

Le altre opere in campo narrativo che hai realizzato sono Il ghigno di Arlecchino e Zentropia, caratterizzate entrambe da “uno stile con più significati, un linguaggio spezzato, crudo e coinvolgente”. Nel tuo percorso di scrittore sei stato, influenzato dagli autori ispanici del ’900 (Cortàzar, Alejo Carpentier, ecc), e una volta mi hai detto che quando scrivi ti devi divertire per portare a compimento l’opera. In quest’ottica, come vedi la scrittura? Come una sfida in cui ogni volta superare i propri limiti?

No, come un lavoro in cui evitare di ripetermi e con cui offrire sempre un prodotto che possa suscitare reazioni di qualche tipo nel lettore. Se il progetto è personale, cerco di trasmettere emozioni forti e, per quanto riesco, molto sgradevoli. Se è un progetto su commissione, cerco di offrire buon intrattenimento. Credo però che l’elemento del divertimento (in misura maggiore o minore a seconda del progetto) debba esserci per ogni opera che si affronta. Perché fare qualcosa che non ti diverte? Allora non farlo e fai altro.

Narrativa, fumetti e cortometraggi. Come ti approcci ai vari media? Ci sono delle storie o un genere, piuttosto che una forma narrativa con la quale vorresti cimentarti e che non hai ancora affrontato?

Forma narrativa non ancora affrontata? Drammaturgia per il teatro. Anche se alcuni racconti di “Carni (e)strane(e)” (Kanashibari e Corpi di carne) erano nati per essere messi in scena, ma non se ne fece niente. Quest’anno ho scritto per la prima volta un cartone animato e mi sono divertito molto.

Mi approccio ai vari media in base al budget richiesto e alle possibilità concrete di realizzazione. Con l’ovvia regola che “è meglio realizzare un progetto più piccolo piuttosto che non realizzarne uno più grande”. Il che esclude cinema e TV la maggior parte delle volte.

A volte alcune storie migrano da una forma all’altra, ad esempio alcuni racconti di Carni (e)strane(e), come detto sopra, erano nati come testi teatrali o come fumetti. Anche Zentropia era nato come progetto a fumetti che avrebbe dovuto disegnare Paolo Castaldi.

A volte da alcuni lavori nascono degli “spin off” come il cortometraggio prequel/sequel di “Tipologie di un amore fantasma” che è stato presentato al PUFF (www.puff-festival.org/), un festival di cinema underground di Hong Kong.

Invece certi lavoro nascono in una forma e non possono vivere in nessun’altra, è una percezione molto personale che non saprei spiegare però. Sai che “è così e basta”.

Un parere sull’attuale stato dell’editoria italiana? Al di là della crisi è possibile per i bravi autori emergere e farsi notare?

Si pubblica troppo e noto una generale mancanza di preparazione da parte degli editor che si occupano di narrativa di genere.

L’editoria è in crisi, ma probabilmente perché è cresciuta troppo, come tanti altri mercati. Aggiungiamo, nel caso specifico dell’Italia, un livello altissimo di analfabetismo di ritorno e lo scarso interesse per la cultura sia sociale che politica.

Un bravo autore emergerà sempre, anche se non è detto che scriverà quello che vuole (esempio banalissimo: potresti essere un bravissimo scrittore, appassionato di horror, ma potresti avere la possibilità di scrivere solo thriller). Posto che tra qualche anno scrivere storie sia ancora considerato un lavoro e non un hobby: l’eccesso di offerta di contenuti gratis disponibili on line (legalmente o meno) presenta anche questo rischio.

Qualche anticipazione per i tuoi progetti futuri?

Al momento sto scrivendo i sottotitoli in inglese di una docufiction che ho co-diretto con Lino Palena e che poi spediremo al maggior numero possibile di festival internazionali. Dita incrociate.

In campo fumettistico sono sempre al lavoro su nuove proposte, ma non so ancora quali diventeranno progetti con un editore. Quindi meglio non dire niente al riguardo.

Adriano Barone. Scrittore e sceneggiatore, ha scritto la raccolta di racconti Carni (e)strane(e) (Mondadori Epix) e i romanzi Il ghigno di Arlecchino (Asengard) e Zentropia (Agenzia X), oltre ai graphic novel L’era dei Titani (Edizioni BD), Tipolo­gie di un amore fantasma (Edizioni Voilier), Bugs- Gli insetti dentro di me (001). E’ anche regista e sceneggiatore di cortometraggi.