Ciao Davide. Benvenuto su Horror Magazine. Ti puoi presentare ai lettori del sito che non ti conoscono? Chi è Davide Roma e cosa fa nella vita?
Ho 31 anni, mille esperienze lavorative alle spalle, e una passione smodata per cinema e letteratura. Ho la tendenza a collezionare di tutto: dischi in vinile, manifesti di film, libri a tonnellate.
Parliamo di Il bacio di Jude: il tuo libro di esordio, pubblicato da Sperling & Kupfer. Come ti è venuta l’idea di questa trilogia? Da quali premesse sei partito e hai progettato inizialmente tutti e tre i libri, o ha preso forma mentre scrivevi il primo romanzo?
Prima mi è venuta l’idea iniziale, come un’illuminazione. Le idee migliori nascono sempre così, e mai da un percorso calcolato. Dunque ho cominciato così: il protagonista scova un sotterraneo murato nella casa dove vive, riesce ad azionare il meccanismo che apre il passaggio segreto e quando arriva sotto scopre un segreto terrificante che riguarda la sua natura. Da questo Big Bang iniziale è cominciato tutto. Poi è arrivato il resto: la setta della Golden Dome (ispirata alla Golden Dawn, realmente esistita, una mia vecchia passione), gli altri personaggi. Il materiale mi sembrava vasto e in più ero rimasto folgorato dai film di Christopher Nolan, tra cui la trilogia de Il Cavaliere Oscuro, e mi intrigava l’idea di seguire l’evoluzione di un personaggio in tre romanzi. Anche il percorso di Anakin Skywalker in Star Wars mi ha influenzato: Jude, come Anakin, all’inizio sembra l’eroe della storia, ma è destinato al male, e una simile metamorfosi non può essere scandagliata, a parer mio, unicamente in un singolo volume.
Il Bacio di Jude è definito come urban fantasy, ma a mio parere si possono trovare anche altri generi o una commistione di generi, come il paranormal romance, il giallo e naturalmente l’horror. Credi nelle distinzioni di genere o più nelle contaminazioni o atmosfere di un certo tipo?
In effetti la mia specialità è proprio il crossover: mixare generi, anche lontani, in apparenza, tra di loro. Ad esempio: il teen drama con il romanzo gotico ottocentesco (Dawson’s Creek con Dracula). L’idea consiste nello riscoprire la magia della narrativa del passato, svecchiandone i motivi stilistici e aggiornandone i contenuti. Adoro le contaminazioni. Mi ritrovo spesso a spiegare che Jude è un urban fantasy/thriller/romanzo gotico: una miscela che, sapendo dosare gli ingredienti, funziona benissimo.
Qual è stata la motivazione per ambientare il romanzo in America, anziché in Italia? (Situazione questa che si trasforma, a volte, in una trappola per gli esordienti, se non si padroneggiano bene gli ambienti, le situazioni e i personaggi tipici di una cultura differente dalla nostra).
Mi sono formato sul cinema americano e sulla narrativa americana. Quando la storia di Jude è balenata nella mia mente, non ho avuto alcun dubbio sulla scelta dell’ambientazione che, peraltro, ben conosco. Ho vissuto a Boston, dove ho numerosi parenti, cui sono molto legato: la sorella di mia nonna si trasferì a North End, il quartiere italo-americano di Boston, alla fine degli anni sessanta. Vi ho passato diverse estati. Quando il setting della narrazione si allarga, entrano in scena altre location. Nel secondo volume, ad esempio, ci saranno New York, Londra, di nuovo Lugano e Roma. Mi piace mantenere, come nei film di James Bond, un’atmosfera internazionale e cosmopolita.
Qual è il tuo lettore tipo? I tuoi personaggi hanno sui diciassette anni, usano Facebook, l’iPod, internet in generale e gli smartphone. Il tuo è un romanzo diretto a un pubblico prevalentemente young adult o pensi che anche altre fasce di lettori si possano avvicinare alla tua opera?
Mi piace raccontare storie di adolescenti, questo è vero, ma se dovessi indicare il mio lettore tipo direi: chiunque. Ho ricevuto commenti entusiasti di genitori che avevano comprato il romanzo per un figlio e l’hanno divorato in un paio di giorni. La versatilità della storia raccontata, grazie al mix di generi, è stata notata da chiunque abbia letto il romanzo finora. Perciò credo, sinceramente, che possa appagare diverse fasce di lettori.
Come sei arrivato a Sperling & Kupfer e come hai lavorato con i loro editor?
Diversi editori chiesero il romanzo in lettura. I responsi furono tutti ottimi. Quindi per la pubblicazione c’erano diverse alternative. La mia agente, Loredana Rotundo, organizzò un’asta e alla fine sono approdato a Sperling & Kupfer. Con la mia editor ho avuto da subito un ottimo feeling. Non siamo intervenuti su snodi narrativi o sulla struttura. Solo qualche piccolo ritocco per rendere il testo impeccabile. Un occhio esterno che fa notare qualche incongruenza o imperfezione, ci vuole sempre.
Sei soddisfatto della copertina? Chi è la ragazza che vediamo ritratta? (Lui immagino sia il nostro protagonista: Jude Westwick).
Prima si parlava della versatilità della storia, il mix di generi che la contraddistingue, quindi trovare una singola immagine che la riassumesse non è stato semplice. Alla fine si è scelto di puntare su un’immagine più semplice, meno originale, legata com’è al titolo, ma bella esteticamente. Ti racconto un aneddoto sulla cover. Il mio colore preferito è il rosso, il mio attore preferito è il grande Heath Ledger: alla fine ho scelto questa immagine, tra le alternative che mi avevano proposto, perché lo sfondo è rosso e perché lui assomiglia al povero Heath. Nel romanzo c’è un triangolo sentimentale tra Jude, Emily ed Amber. In questo primo volume l’ago della bilancia pende, per il momento, dalla parte di Emily, quindi la ragazza non può che essere lei.
In questo momento stai lavorando al secondo volume della trilogia? Ci puoi anticipare qualcosa? Quando i lettori potranno leggerlo?
E’ quasi ultimato. Lo consegnerò tra un paio di settimane e vi saprò dire quando uscirà. Nel secondo volume, Jude va alla scoperta del suo lato oscuro tentando di rispondere alla domanda che riecheggia nel primo romanzo: “non senti il desiderio di diventare tutto ciò che gli altri disapprovano?”
Sei un appassionato lettore di fumetti (molti di questi li citi nel romanzo), come è nata questa passione, quali sono le serie (e gli sceneggiatori) che più ti piacciono e quanto influisce il fumetto in quello che scrivi?
E’ nata da ragazzino, grazie a mio padre. Jude, nel romanzo, ha la fissa per le graphic novel di Frank Miller, una fissa che io condivido, specialmente il lavoro fatto sul personaggio di Batman. Poi Alan Moore, soprattutto From Hell che oltre all’ambientazione londinese ottocentesca (che comparirà in una parte del secondo volume della mia trilogia) è denso di significati esoterici, e mette in scena un ordine massonico che presenta dei tratti in comune con la Golden Dome. Mi piacciono tantissimo i supereroi, in particolare Spiderman e Batman. Poi, chiaramente, possiedo l’intera collezione di Dylan Dog. Il fumetto mi influenza perché lo considero letteratura. La lettura non è una cosa sacra: il punto centrale non è leggere, ma cosa si legge. Ed è meglio gustare un ottimo fumetto che un pessimo romanzo.
Sono moltissimi i riferimenti musicali che ricorrono nel romanzo. Che rapporto hai con la musica, la ascolti mentre scrivi, t’ispira a scrivere delle scene?
La musica è il principale carburante delle fantasie. Quando scrivo, devo ascoltare qualcosa: ho un rapporto di piacevole dipendenza. E una cultura musicale sconfinata! Mentre scrivevo Jude, ascoltavo, oltre agli immancabili Depeche Mode, le colonne sonore dei film di Nolan. Soprattutto Inception.
Sei un appassionato di narrativa americana. Segui la narrativa italiana, c’è qualche autore che apprezzi particolarmente?
In realtà, seguo molto la narrativa italiana. Non ha influenzato la trilogia di Jude, ma certamente influenzerà altre idee su cui sto lavorando. Mi piace molto Eraldo Baldini, la cui raccolta “Gotico rurale” è stata un must della mia adolescenza. Leggo sempre con piacere i romanzi di Massimo Carlotto. Ho alle spalle vaste letture legate alla narrativa italiana del passato: Sciascia, Moravia, Bufalino, Bassani.
Hai seguito un corso di scrittura creativa tenuto da Raul Montanari. I corsi di scrittura servono? Che consiglio daresti a chi vuole fare lo scrittore?
I corsi fatti bene, come quello di Montanari, possono servire. Perché la letteratura è in parte artigianato. Qualcosa che richiede tanta pratica e poca teoria. I corsi concepiti bene, che si concentrano sulla pratica, sono utili perché fanno risparmiare tempo, indirizzandoti subito sulla strada giusta. Detto questo, consiglierei agli aspiranti scrittori di non farsi influenzare da fortunate vicende editoriali, ma di concentrarsi sulla scrittura. E’ la storia raccontata che deve farsi strada, non l’autore.
Hai già in mente cosa farai dopo la trilogia?
Sì. Sto già lavorando al progetto successivo. Un romanzo singolo, di ambientazione italiana. E’ il remake in chiave moderna di uno dei miei classici preferiti, però per il momento non posso svelarvi quale.
Vuoi aggiungere qualcosa?
Concludo con un augurio: che gli editori e il pubblico diano più fiducia agli esordienti italiani. Non penso tanto a me: io ormai ho pubblicato, ho appunto esordito. Penso a tutti quei manoscritti meritevoli che sono in attesa di giudizio e che rischiano di essere ignorati a favore dei soliti noti.
Davide Roma, nato nel 1981, vive tra Roma e Milano. Studia Scienze della Comunicazione, ha frequentato i corsi di scrittura creativa di Raul Montanari e nel 2007 è stato scelto dalla Scuola Holden per partecipare a Esor-dire all’interno della manifestazione Scrittorincittà. È mancino, come tutti i suoi idoli: Steve Jobs, Alessandro Magno e Franz Kafka
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