Ciao Tito, benvenuto su Horror Magazine! Come nasce il progetto di “Oltre la soglia” e perché un libro per ragazzi?
In generale, scrivere per ragazzi, per me, è scrivere anche per ragazzi. Allargare il proprio pubblico, non restringerlo. Non mi sono minimamente limitato. Posso dire di non avere mai scritto un fumetto per adulti tanto duro, violento e duro quanto lo è questo romanzo per… anzi, anche per ragazzi. E a ben vedere, potremmo considerarlo più una storia di ragazzi, piuttosto che per ragazzi. È un horror urbano che ha per protagonisti degli adolescenti.
Il romanzo è descritto come “un horror mozzafiato che mescola Dylan Dog e Stephen King”. Ci sono altri autori (sia di fumetti sia di narrativa) che hanno sviluppato tematiche affini a quelli di “Oltre la soglia” che ti hanno ispirato?
Stephen King è stato una specie di stella lontana, irraggiungibile, eppure capace di guidarmi, di farmi vedere una rotta. Ma sono felice che una voce mia è venuta fuori. Bella o brutta che sia, questo non sta a me giudicarlo, ma mia. Il che non significa che non risenta di mie letture, al di là della passione per King. Il Dan Simmons dell’Estate della paura, per esempio, o anche Richard Matheson. Oltre la soglia deve molto a Io sono leggenda. E poi, di sicuro, al Signore delle mosche, l’archetipo.
Qual è stato il metodo di lavoro al romanzo, come hai lavorato con il tuo editor? Ho letto che alcuni tuoi colleghi scrittori ti hanno dato spunti e suggerimenti. Qual è stata la difficoltà maggiore? Hai qualche aneddoto particolare da raccontarci?
È stato una gigantesca fatica. Il fatto che ora qualcuno dica che si legge facilmente conferma una vecchia regola, secondo cui per fare scorrere una storia, per renderla semplice da recepire, bisogna sudare parecchio. All’inizio cercavo una trama che si potesse raccontare in quattro parole. Avevo questa fissazione. A una cena di fumettisti, durante un festival, mi è arrivata l’illuminazione. Tutti gli adulti impazziscono. Il primo passo, fondamentale. Però poi la strada è stata ancora lunga. Il grande problema dei romanzi è finirli, non cominciarli.
Il romanzo è pieno di trovate (stralci di chat, barzellette, articoli di blog ecc.) e citazioni. Lo stile, molto cinematografico, è sicuramente vicino al mondo dei più giovani. Riconosci una tua “voce”, una certa progettazione o è venuto tutto istintivo e spontaneo?
In questo credo che abbia molto influito il mio mestiere di sceneggiatore di fumetti. In qualche modo, fa restare vicino a un pubblico in una grossa misura costituito da giovani. E poi ho due figli adolescenti…
C’è un personaggio del libro (o un episodio), al quale ti senti più legato e perché?
A parte Jaco, il principale protagonista… Nico e Sarah, con la loro particolare storia d’amore, sono riusciti a sorprendere anche me. Non erano previsti, nella scaletta originale. E non avevo alcuna intenzione di mettere nel libro nulla di “romantico”. Invece, loro due sono arrivati e la loro storia mi è cresciuta da sola fra le mani. Senza togliere nulla alla durezza del romanzo.
Com’era Tito Faraci quando aveva la stessa età dei protagonisti del libro?
Appassionato di musica, libri (horror e fantascienza, in primis) e fumetti. Un po’ spaventato dal diventare adulto. In ogni caso, l’adolescenza è più bella da ricordare che da vivere.
Se “Oltre la Soglia” diventasse un fumetto, a che disegnatore affideresti la rappresentazione grafica e cosa cambieresti a livello narrativo?
Difficile rispondere, perché è un’idea che, almeno per ora, non mi attira. Anche se, inevitabilmente, mi è passata per la testa. E poi ci sono così tanti ottimi disegnatori che conosco e con cui ho lavorato…
Segui il mercato narrativo italiano? Ti sei fatto una tua opinione del tipo di lettore che frequenta le librerie? Ci sono autori italiani che leggi?
Sono felice che una letteratura di genere si stia affermando anche in Italia, seppure fra tante difficoltà. Ci sono molti autori che mi piacciono e che stimo. Ne nomino qualcuno, al volo (e poi mi dispiacerà per i tanti non citati): Alan D. Altieri, Sandrone Dazieri, Francesco Dimitri, Gianluca Morozzi e… no, no, basta! Qui dimentico amici!
Fumetti, narrativa, all’inizio della tua carriera facevi il giornalista musicale. Come ti approcci ai vari media? Ci sono delle storie o un genere, piuttosto che una forma narrativa con la quale vorresti cimentarti e che non hai ancora affrontato?
Sono uno scrittore di genere. Mi piace esserlo, non mi fa sentire in nessun modo sminuito. Ho scritto noir, hard boiled, storie di guerra, fantascienza, horror, western… Nello scarto fra quello che il lettore si aspetta e quello che gli dai, c’è la tua cifra di autore. Che cosa vorrei scrivere e non ho ancora scritto? Strano a dirsi, ma un’opera teatrale. Di genere.
Scriverai ancora narrativa? Hai già in mente il prossimo progetto, e in caso affermativo, ci puoi dare qualche anticipazione?
Sì, credo proprio di sì. E, se avverrà, sarà di nuovo un horror.
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