Davvero difficile per chi frequenta il cinema di spavento non cedere alla tentazione di mischiare orrore e scienza. In occasione dell'uscita di quell'incubo genetico che è Splice di Vincenzo Natali, sul letale miscuglio tra frontiere genetiche e paura abbiamo sentito il parere di due tra i più interessanti e originali registi horror del panorama cinematografico italiano contemporaneo: Ivan Zuccon e Gabriele Albanesi, anomalie essi stessi in un mercato sempre più orientato ai turbamenti emotivo – esistenziali degli adolescenti.
Per Zuccon, regista di L'altrove e Nympha, le possibilità del connubio tra ricerca scientifica e terrore “sono innumerevoli. Pensiamo a tutte le ripercussioni etiche e morali che le scoperte scientifiche estreme (e non) possono avere. E' chiaro che il tema della scienza osservata da un punto di vista meno tecnico e cioè virato sulle conseguenze nell'uomo, nella società e nell'evoluzione è centrale. Il mio punto di vista sposa la tesi "estrema", quindi se dovessi cimentarmi in una pellicola su questo tema dovrei subito affrontare la domanda d'obbligo: "è giusto che l'uomo giochi a fare Dio?". La mia risposta sarebbe sì”.
Nel caso in cui dovesse rapportarsi all'argomento, l'autore del lovecraftiano Colour from the Dark racconterebbe allora “la storia di uno scienziato che non si ferma davanti a nessuna barriera, il cui unico scopo è quello insito nell'essenza stessa della ragione umana, oltrepassare cioè tutti i confini, andando oltre ogni limite”.
Dal canto suo, Albanesi, il cui Il bosco fuori è stato la rivelazione horror di qualche anno fa, ci ricorda che “uno dei principali modelli del racconto dell’orrore è proprio quello legato alle aberrazioni della scienza, con la classica figura dello scienziato pazzo e della “cosa” da lui creata. Si pensi al classico Frankenstein di Mary Shelley, che torna oggi più che mai attuale con le nuove frontiere della genetica".
"Sicuramente è poi colmo di possibilità anche il tema, decisamente cronenberghiano, della chirurgia plastica e dei mutamenti sul corpo umano che essa comporta. L’elemento interessante, a mio avviso, sta soprattutto nel fatto che i soggetti coinvolti non vengano sottoposti a nessuna costrizione o violenza da parte del “mad doctor”, anzi tutto partirebbe dall’impellente desiderio di questi personaggi di andare incontro alla mutazione”.
Sebbene il cinema italiano abbia poco spesso frequentato questo specifico argomento, proprio Zuccon ha appena finito di scrivere una sceneggiatura che in qualche modo riguarda la genetica, ma sempre dal suo originale punto di vista, cioè “mischiando la scienza della genetica con la magia nera, la negromanzia e la mitologia per ottenere un mix diabolico e sconcertante. Oltretutto io e lo sceneggiatore Gerardo Di Filippo siamo partiti da un racconto di H.P.Lovecraft, Lo Strano caso del dottor Charles Dexter Ward, storia di un negromante che riesce a trovare il segreto dell'immortalità risorgendo dalle sue ceneri, un po' come nel mito della fenice. Lavorando su questi elementi e unendoli alle pulsioni umane primarie, abbiamo mosso personaggi più o meno lovecraftiani in un quadro tra lo scientifico e il magico dove le frontiere che non si possono oltrepassare vengono valicate di continuo”.
Dopo l'exploit di Il bosco fuori – “un film che affrontava il genere senza complessi intellettuali e senza inibizioni, insomma non si vergognava di essere puro e semplice horror” – Gabriele Albanesi ha, invece, terminato da poco la post produzione del suo nuovo atteso film, dal carpenteriano titolo Nelle fauci di Ubaldo Terzani, che definisce “un thriller-horror i cui protagonisti sono un autorevole scrittore di romanzi horror e un giovane regista che deve scrivere il suo primo film insieme a lui.
La collaborazione si tramuterà per il ragazzo in una lunga discesa negli Inferi del suo inconscio”.
Il tanto ricercato motivo della mancata spinta dei registi italiani a produrre e dirigere film di genere horror, fantastici o perché no genetico – orrorifici, dopo le stagioni irripetibili degli anni Settanta e in parte Ottanta, lo spiega chiaramente Zuccon: “l'omologazione sta appiattendo tutto, perché c'è sempre meno spazio per le diversità.
Devo dire comunque che c'è una new wave di registi italiani che sta emergendo, facilitata dall'introduzione di mezzi tecnici a basso costo, ma di qualità accettabile, che fanno sì che i nuovi autori possano cimentarsi con la Settima Arte senza spendere milioni."
Gli fa eco Albanesi, per cui: “quel tipo di cinema non attecchisce sia perché il pubblico non ha più alcuna fiducia nell’horror italiano, a causa di anni e anni di brutti film, sia perché i produttori italiani ancora non sono tornati ad abbracciare la mentalità imprenditoriale di pensare per il mercato estero. E l’horror è un genere che vende soprattutto fuori dai confini nazionali. Invece il nostro sistema produttivo, che è ancora sostanzialmente parassitario, preferisce puntare sui drammi sociali o sulle commedie di costume in modo da beneficiare o dei contributi statali o dei finanziamenti televisivi e senza preoccuparsi poi di un reale ritorno economico del prodotto".
Come è centrale in Splice – storia malata di un “padre” (Adrien Brody) e una “madre” (Sarah Polley) il cui esperimento/prole dischiude un incubo senza fine dagli esiti imprevedibili – non di rado l'istituzione famiglia è al centro del cinema dell'orrore. Anche per quello che riguarda il lavoro di Zuccon: “quando incomincio a pensare ad una storia horror per il cinema finisco sempre a parlare di drammi familiari. La famiglia, così centrale ed essenziale nella nostra cultura, così rassicurante nel suo focolare domestico, nei miei film viene in qualche modo corrotta, infettata da uno o più elementi esterni che, insinuandosi al suo interno, la portano lentamente e inesorabilmente al disfacimento. Del resto la disgregazione familiare è anch'esso un tema attualissimo, ne consegue che fare horror al giorno d'oggi può anche essere una occasione per fare una qualche riflessione sociale”.
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